I cammelli vivono nelle aree equatoriali e sub-equatoriali semi aride e desertiche, quali l’Africa nord-orientale, il Medio Oriente (Penisola Arabica) e zone desertiche dell’Asia. Secondo i dati della Food and Agriculture Organization (FAO), pubblicati nel 2017, erano presenti oltre ventinove milioni di esemplari; questi erano soprattutto presenti in paesi africani quali Somalia e Somaliland (circa sei milioni) che vengono anche denominati “i paesi dei cammelli”, Sudan (circa tre milioni), Mauritania (circa un milione), a seguire Etiopia, Malì, Niger e Kenia (1). I cammelli sono utilizzati dalle popolazioni nomadi del deserto come mezzo di trasporto, animali da soma, mentre con la pelle e la lana vengono preparati manufatti di vario genere, quali vestiti e tappeti. Per le popolazioni nomadi i cammelli rappresentano una importante risorsa alimentare (carne, latte e suoi derivati); per i loro lattanti il latte di cammella (LC) rappresenta un ottimo sostituto del latte materno (LM). Questo latte è inoltre considerato un viatico per molte malattie. Nei Paesi del Golfo i cammelli sono spesso protagonisti di corse sportive, di fiere commerciali e di veri e propri “concorsi di bellezza” che ne esaltano le caratteristiche fisiche e somatiche. Eventi che ogni anno attraggono migliaia di spettatori e visitatori.

I cammelli sono animali ruminanti, ma non sono classificati come appartenenti al sottordine dei Ruminantia per diversità nella conformazione delle zampe, dello stomaco e per la mancanza di corna, da cui anche la definizione di “pseudoruminanti”. Appartengono all’ordine degli Artiodactili (ungulati), sottordine dei Tilipodi. Alla famiglia dei Camelidi appartiene il genere Camelus e Lama (quattro specie L. glama, L. pacos o alpaca, L. guanicoe e L. vicugna che vivono nell’America del sud). Al genere Camelus appartengono due differenti specie presenti rispettivamente in due grandi aree “pastorali” dell’Africa e dell’Asia: il Dromedario (Camelus dromedarius) e il Cammello Bactriano (Camelus bactrianus). Il Camelus dromedarius, ad una gobba, rappresenta circa l’80-90% di questi animali e vive prevalentemente in aree desertiche calde del Medio Oriente, dell’Africa del Nord e Orientale, dell’Asia del Sud e Orientale. Il cammello si trova anche in Australia, dove fu importato dagli inglesi nell’800 dalla penisola arabica. Il Camelus bactrianus, a due gobbe, è presente nelle zone desertiche e steppose, dal clima freddo, dell'Asia centrale, tra l'Anatolia e la Mongolia, nella Cina del Nord e Orientale, nel Sud della Russia, in Asia Minore e nel Kazakhstan Il nome scientifico Bactrianus gli fu dato da Carl von Linné nel 1758 perché lo riteneva originaria della Battriana, una regione fra l'Afghanistan e l'Uzbekistan. Secondo alcuni zoologi si potrebbe per quest’ultima specie utilizzare il termine inclusivo di “cammello dromedario”. Nel deserto del Gobi (Mongolia) esistono poche centinaia di esemplari di Camelus ferus, a due gobbe. Nelle isole spagnole delle Canarie vivono circa mille esemplari di “Cammello Canario”, a una gobba, presente dal ‘400, ma oggi considerati una specie a rischio di estinzione. In Italia il cammello fu introdotto in epoca romana come animale da soma, da guerra e da circo, ed è stato utilizzato saltuariamente fino al ‘700, quando nella tenuta di San Rossore, nel pisano, erano presenti circa 200 esemplari della razza del "Cammello Toscano" (1-4).

Complessivamente sono descritte una cinquantina di sottotipi variamente distribuiti nelle diverse aree geografiche, anche molto diversi per le caratteristiche somatiche e per la capacità lattifere. Sono possibili anche gli incroci tra le due specie principali (“ibridi”) che, a differenza degli altri ibridi che si osservano in natura, sono fertili, sia nel genere maschile che in quello femminile (1-4).

IL LATTE DI CAMMELLA

Utilizzeremo il termine “latte di cammella (LC)”, includendo anche quello di dromedaria, in quanto è invalso l’uso di questo termine sia nella letteratura scientifica quanto in quella divulgativa. Le differenze tra il LC e quello di dromedario non sono, in effetti, sostanziali ed attribuibili alle diverse zone di pascolo piuttosto che alle caratteristiche specifiche delle due specie. Nei paesi d’origine è bevuto dalle popolazioni nomadi e rurali prevalentemente crudo, raramente bollito. Molto utilizzati i derivati fermentati. Negli Emirati Arabi, soprattutto a Dubai, sono sorti moderni allevamenti e manifatture lattiero-casearie che producono latte fresco pastorizzato e suoi derivati, quali latte fermentato (kefir), yogurt e formaggi, destinati alla vendita nelle aree urbane. Queste industrie producono e commercializzano anche il latte a lunga conservazione in polvere o congelato destinato soprattutto all’esportazione verso l’Europa e gli Stati Uniti; dal 2016 dispongono anche del latte trattato con metodo Ultra High Temperature (UHT) per la lunga conservazione in forma liquida. Negli ultimi anni sono stati allestiti allevamenti in Europa (Olanda, Danimarca, Belgio, Inghilterra e Canarie), negli Stati Uniti, in Australia e in Cina che producono e vendono il latte fresco pastorizzato, in polvere o congelato (1-5).

La produzione mondiale di LC è stimata introno a 5-6 milioni di tonnellate per anno e rappresenta poco meno dell’1% dell’intera produzione di latte (preminente il LV con oltre 600 milioni di tonnellate). Circa 1,3 milioni sono destinati all’alimentazione umana, il restante all’allevamento dei piccoli. La produzione di LC ha avuto un importante incremento negli ultimi decenni (Fig. 1).

 

 

 

 

Fig. 1 Produzione di latte di differenti specie negli ultimi 50 anni (6).

La vita media di questi animali è di 25-30 anni. La maturità sessuale è raggiunta intorno ai 5 anni. La gravidanza dura circa 13 mesi e la lattazione 8-18 mesi (mediamente 12 mesi). A differenza degli altri animali da latte, per mantenere la lattazione la cammella richiede la vicinanza del piccolo. La produzione giornaliera varia da 3 a 35 litri, secondo la distanza dal parto (massima nei primi 7 mesi), le condizioni climatiche (massima nella stagione piovosa) e la disponibilità di cibo e acqua. La quantità totale per ciascuna lattazione varia dagli 800 ai 13.000 litri (!) per animale (media 2000 litri). Le razze asiatiche hanno in genere una produzione di oltre due volte superiore a quella delle razze africane. Gli “ibridi” possono arrivare a produrre dal 25 al 50% in più di latte rispetto alle specie naive. Una caratteristica peculiare di quest’animale, abituato a vivere nel deserto anche in situazioni climatiche estreme con lunghi digiuni senza acqua (può resistere senza acqua anche fino a quaranta giorni e perdere anche il 30% del peso corporeo e il 50% dell’acqua corporea), è la sua capacità di produrre latte anche in condizioni nutrizionali sfavorevoli, a differenza di quello che accade per gli altri animali da latte, quali ad esempio le mucche (1-6).

Caratteristiche organolettiche, composizione e valore nutrizionale del LC

Nei paesi occidentali gli animali da latte, quali bovini, ovini, caprini, bufalini e asine, sono nutriti e mantenuti in condizioni controllate con conseguente produzione di latte dalle caratteristiche relativamente stabili in termini quantitativi e qualitativi. Al contrario, le cammelle oltre a produrre differenti quantità di latte, a secondo dei vari sottotipi, sono allevate dalle popolazioni nomadi in situazioni di estrema variabilità del clima e dei pascoli. Per queste ragioni le caratteristiche organolettiche del latte differiscono anche in ragione dell’area geografica di pascolo, della stagionalità e della disponibilità di acqua e cibo, nonché del periodo di lattazione. I dati della letteratura scientifica sulle caratteristiche del LC disponibili si riferiscono agli animali delle popolazioni nomadi o rurali e sono quindi influenzati dalle variabilità connessa con questa condizione. Il contenuto medio di proteine, di lipidi e di lattosio oscilla in relazione a diversi fattori quali la razza il periodo dell’anno in cui erano state eseguite le rilevazioni, le procedure analitiche utilizzate, l’area geografica di pascolo, lo stadio di lattazione, l’età degli animali, il numero di parti e la disponibilità di acqua. La disponibilità di acqua influenza soprattutto la composizione del latte piuttosto che la quantità di latte. Le caratteristiche del LC riportate nella Tab. 1 hanno quindi un valore indicativo. Il latte “industriale” ha verosimilmente una composizione più stabile, tuttavia al momento non esistono in letteratura scientifica valutazioni di riferimento. I dati disponili sono reperibili solo sui siti delle industrie lattiere che commercializzano il LC e riportano valori in linea con quelli medi della letteratura precedentemente riportati (Tab. 1).

Il LC fresco si presenta generalmente opalescente, di colore bianco e, se agitato leggermente, di aspetto schiumoso; di norma ha un sapore dolciastro ma intenso o lievemente acidulo; talvolta può risultare salato o più amaro in relazione al tipo di alimentazione degli animali. Questi cambiamenti del sapore sono dovuti soprattutto al tipo di foraggio presente nelle aree desertiche di pascolo. Le piante del genere Atriplex, Acaciae Salsola, piante alofile, che in alcune aree geografiche rappresentano parte importante del foraggio, contengono un alto contenuto di sale e questo influisce sulla quantità di sodio e sul sapore del latte. Anche la scarsa disponibilità di acqua può rendere il latte più concentrato e di gusto salato. Il latte fresco ha una densità tra 1021 e 1035 (media intorno a 1024) e un pH di 6,2-6,75 (media intorno a 6,6), verosimilmente dovuto all’alto contenuto di Vit. C. Il LV mostra rispettivamente densità e pH di 1032 e 6,5, quello umano di 1031 e 7,0-7,6. Un litro di LC ha 670-800 Kcal/l, quello umano 630-730 Kcal/l e quello vaccino 660-700 Kcal/l (7-14).

Tab. 1 Contenuto macronutrienti nel latte di diverse specie animali (gr/100 ml)

Latte Proteine Lattosio Grassi Minerali Acqua
Umano 1.1-1.3 6.8-7.0 3.3-4.7 0.2-0.3 88-89
Vaccino 3.2-3.8 4.8-4.9 3.7-4.4 0.7-0.8 85-87
Asina 1.4-1,7 6.2-6,7 0,28-1.5 0,3,04 86-92
Cammella 3.0-3.9 4,4-4,9 2.9-5.4 3,5-4,4 86-88
Capra 2.9-3.7 3.6-4.2 4.0-4.5 0.8-0.9 87-88
Pecora 5.6-6.7 4.3-4.8 6.9-8.6 0.9-0.1 79-82
Bufala 3.3-3.6 4.5-5.0 7.0-11.5 0.8-0.9 82-84
Balena 10-15 07-2,1 33-50 0,8 30-54

 

Il contenuto totale di proteine oscilla tra 2,1 g/dl al 4,9 g/dl in ragione della razza (ad esempio la razza Majaheim ha un tenore proteico maggiore rispetto le razze Wadah e Hamra) e della stagionalità, con valori più elevati a dicembre (2,9 g/dl) rispetto ad agosto (2,5 g/dl). Il 52-87% delle proteine è rappresentato dalle caseine; di queste le principali sono la β-caseina (65%) e l’α1-caseina (21%). Nel LV queste due proteine rappresentano rispettivamente il 36 e il 38%. L’elevata presenza di β-caseina nel LC, come nel LM, rende ragione dell’alta digeribilità del LC. Probabilmente questo dipende dal fatto che la β-caseina è più sensibile all’idrolisi peptica nello stomaco rispetto all’αs-caseina più rappresentata nel latte vaccino. È stata anche osservata una differenza nella composizione di alcune sequenze aminoacidiche delle caseine del LC rispetto a quelle del LV. La κ-caseina è dosabile da tracce fino al 3,5% delle caseine totali; nel latte vaccino il suo valore è del 13%. La Tab. 2 riassume le caratteristiche della caseina del LC confrontate con quelle di altre specie.

Tab. 2 Composizione della caseina nel latte umano, vaccino e di cammella (g/l).

αs1-caseina αs2-caseina β-caseina κ-caseina caseina totale
Umano 0,43 (12%) non dosabile 2,4 (65%) 0,87 (24%) 3,7(28%)
Vaccino 9,5 (38%) 2,5 (10%) 9,8 (39%) 3,3 (13%) 25,1 (83%)
Cammella 5,3 (22%) 2,3 (9,6%) 15,6 (65%) 0,8 (3,3%) 24  (77%)

 

Le proteine sieriche sono il secondo componente del LC, raggiungendo il 20-25% delle proteine totali. Nel LV le principali proteine sieriche sono la β-lattoglobulina (50%) e l’α-lattoalbumina (25%); nel LC è rilevante solo la seconda in quanto questo latte, come il LM, manca di β-lattoglobulina (7-14). L’assenza di quest’ultima proteina rende il LC particolarmente indicato per i bambini con APLV, come meglio dettagliato in seguito. Il gruppo italiano di Fiocchi, utilizzando una sofisticata metodica spettrofotometrica (MALDI-TOF MS), ha confermato l’assenza di β-lattoglobulina nel LC e una differenza nella composizione delle caseine (15). “Contro ogni aspettativa”, come affermato dagli stessi autori, un recente studio di Alma Ryskaliyeva e col., applicando tecniche di proteomica, ha invece evidenziato la presenza di peptidi simili a quelli riscontrabili nella β-lattoglobulina in campioni di LC di 8 capi di Bactrian dromedaris e ibridi provenienti dal Kazakhstan. Gli autori tuttavia non escludono la possibilità di bias di laboratorio quali la contaminazione con LV (16).

Il LC ha maggior contenuto di aminoacidi essenziali quali arginina, isoleucina, metionina e fenilalanina; maggior quantità di aminoacidi non essenziali quali cisteina, acido glutamminco, prolina alanina e valina. La lisina invece è meno presente (Tab. 3). Mezzo litro di LC al giorno soddisferebbero la necessità di aminoacidi per un soggetto adulto.

La frazione proteica del LC, analogamente al LV, ad di là del significato plastico ed energetico, contiene peptidi bioattivi che esercitano azioni regolatrici di molte funzioni dell’organismo. Questi peptidi possono essere inattivi all’interno delle proteine (proteina precursore) e diventano attivi quando sono rilasciati per effetto della digestione gastrointestinale, oppure sono presenti nel latte come tali. Lo studio di proteomica condotto da Alma Ryskaliyeva e col. ha anche evidenziato la presenza di 391 differenti proteine nel LC (16). Sono stati riportati almeno 200 peptidi bioattivi con varie funzioni, in particolare quella ad azione anti-infettiva (antibatterica e antifungina), anti-infiammatoria, immunomodulante, anti-cancerosa e anti-ossidante. Un quota di essi, valutata intorno al 15-20%, avrebbe un potenziale effetto ACE inibitore, e quindi anti-ipertensivo. Analogamente al LM e a quello vaccino, il LC contiene vari fattori ad azione battericida, fungicida e antivirale. Sono soprattutto rappresentate le immunoglobuline (valori medi di 1,64 mg/ml d’immunoglobuline G contro lo 0,67 mg/ml del LV e l’1,14 mg/ml del LM) e la lattoferrina (Tab. 3). Per quanto riguarda il lisozima, enzima dotato di attività battericida nei confronti di batteri, soprattutto Gram+, la sua concentrazione è relativamente bassa rispetto al LM ma risulta più alta rispetto al LV. Nel colostro della cammella è più alto che nel colostro di mucca (5,1 mg/ml-vs 0,5 mg/ml). Altre proteine rilevanti dal punto di vista funzionale con azione antibatterica e antivirale sono il peptidoglicano e la lattoperossidasi, particolarmente attiva verso i batteri Gram– quali Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa e Listeria monocytogenes (16-26).

Tab. 3 Concentrazione media di lattoferrina, lisozima e immunoglobuline IgG (mg/dl) (41).

Latte Lattoferrina Lisozima IgG
Umano 700-2000 100-890 40-54
Vaccino 80-500 0,37-0,60 100-800
Cammella 200-728 0,73-5,00 2000
Bufala 50-320 0,13-0,15 460-1300
Capra 98-150 0,25 100-400
Pecora 140 1-4 500
Cavalla 820 400-800 390

 

Lipidi

Il contenuto lipidico varia in relazione alle condizioni ambientali e nutritive, al periodo di lattazione e alla razza (1,2%-6,4%). I globuli di grasso del LC hanno un volume minore rispetto a quello del LV (3,2-5,6 µm contro 4,5-8,4 µm) e questo lo renderebbe più facilmente digeribile. Nel latte prodotto da animali “assetati” il tenore di grassi diminuisce fino a quattro volte. Rispetto al LV, quello di cammella presenta un minore contenuto di carotene, che potrebbe giustificare il suo colore più bianco. Ha minori quantità di acidi grassi a catena corta (C4-C12) e un maggiore contenuto di acidi grassi a lunga catena (soprattutto stearico e palmitico). Risultano più alti i valori medi di acidi grassi insaturi (43%) e di acido linoleico e di altri acidi grassi essenziali (1-4,15). I dati riguardanti il contenuto di colesterolo sono contrastanti e molto variabili in ragione della razza e della stagionalità: valori tra 31.3 e 37.1 mg/dl, quindi più elevati di quelli riscontrabili nel LV (25 mg/dl). In alcuni studi sono invece stati riportati valori inferiori a quelli del LV. È importante comunque ricordare che il rapporto colesterolo/lipidi totali è sovrapponibile tra il LC e il LV (5,6,27-31). Per un'analisi dettagliata della composizione lipidica del LC paragonato al LM e a quello di altri mammiferi (pecora, asina e bufala) si rimanda il lettore al lavoro di Zou e col (30).

Lattosio

Il contenuto di lattosio ha variabilità molto ampia, da 2,4 g/dl al 5,8 g/dl con una media di 4,4±0,7 g/dl. La variabilità nel LC è attribuibile, probabilmente, al diverso tipo di foraggio presente nelle aree desertiche e alle differenti razze. Non sono significative le differenze stagionali (5-10).

Minerali

Il contenuto di minerali, espresso come ceneri totali, oscilla da 0,6 g/dl a 0,9 g/dl con un valore medio di 0,79±0,07 g/dl. Le variazioni nel contenuto totale di minerali sono attribuibili a differenze nell’alimentazione, procedure analitiche, assunzione di acqua e razza (come Majaheim, Najdi, Wadah e Hamra). I minerali maggiormente rappresentati sono: calcio 109±7,5 mg/dl, magnesio 14±0,70 mg/dl, fosforo 76±2,55 mg/dl, sodio 58±3,50 mg/dl, potassio 179±8,50 mg/dl, rame 0,19±0,006 mg/dl, ferro 0,21±0,40 mg/dl e zinco 0,19±0,18 mg/dl. Negli animali “assetati” l’aumento del contenuto di cloruro di sodio potrebbe essere un altro fattore responsabile del sapore salato di cui si è fatto cenno in precedenza (5-10).

In sintesi, il contenuto di minerali è superiore a quello presente nel latte vaccino, a eccezione del fosforo e del magnesio che sono sostanzialmente identici.

Vitamine

Il contenuto di Vit. C si aggira intorno a 4,6 mg/dl, contro i 3,5 mg/dl del LM e i 0,9 mg/dl del LV. Questa alta percentuale è fattore importante per ridurre il rischio di scorbuto, soprattutto per i bambini nomadi, tenuto conto della carenza di verdura e agrumi nella loro alimentazione. La Vit. B3 (niacina) è nettamente superiore al LM e LV: 0,52 mg/dl nel LC, 0,21 mg/dl nel LM e 0,092 mg/dl nel LV. Il contenuto in vitamina A e riboflavina (Vit. B2) è più basso rispetto al LV. Al contrario, le concentrazioni dell’acido folico, della vitamina B12 e dell’acido pantotenico (Vit. B5) sono generalmente superiori, ad eccezione che nella razza Najdi, dove invece sono inferiori. Le concentrazioni di tiamina (Vit. B1) e piridoxina (Vit. B6) sono comparabili con quelle presenti nel LV. Secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America, 250 ml di LC forniscono a un adulto circa il 15,5% di cobalamina (Vit. B12), 8,25% di riboflavina (Vit. B2), 5,25% di vitamina A, 10,5% di acido ascorbico (Vit. C), tiamina (Vit. B1) e piridossina (Vit. B6) della dose giornaliera raccomandata (1-3). Data quindi la sua composizione, 250 ml/die di LC possono fornire quindi una buona parte della Recommended Dietary Allowance (RDA) ovvero del fabbisogno minimo giornaliero di macro e micronutrienti necessario a un adulto (5-10,32).

NUTRACEUTICA

Negli ultimi anni numerosi ricercatori, soprattutto Arabi, Israeliani e Pakistani, hanno pubblicato interessanti studi sulla composizione e proprietà del LC dimostrandone potenziali proprietà nutraceutiche per varie patologie quali l’allergia alle proteine del latte vaccino (APLV), il Diabete Mellito (DM) tipo 1 e 2, l’Autismo, la Steatosi Epatica, il Morbo di Crohn e la diarrea, soprattutto da rotavirus (33-47).

DIABETE TIPO 1 e 2

Studi in vitro sugli effetti antiossidanti del LC

Nei pazienti diabetici, lo stato iperglicemico può favorire l’aumento di sostanze ossidanti e una riduzione dei livelli degli antiossidanti. Questo comporta un danneggiamento delle cellule sia a livello pancreatico, sia di altri tessuti e organi quali retina, sistema nervoso periferico, rene, arterie, tipiche sedi delle complicanze del diabete. Si assiste a un aumento di produzione delle specie reattive dell'ossigeno (ROS), attraverso la via di glicazione non enzimatica, l’autossidazione del glucosio e le alterazioni della via dei polioli. Ciò si traduce in un aumento dei radicali liberi che potrebbero avere un ruolo importante nella patogenesi del DM e delle sue complicanze. Dall’altro lato, si assiste a una riduzione dei livelli di antiossidanti non enzimatici come glutatione, vitamina E e vitamina C, e ciò può contribuire allo sviluppo delle complicanze del diabete. Diversi autori si sono quindi concentrati nello studio del ruolo antiossidante del LC. L’azione antiossidante del LC si manifesterebbe sia attraverso un incremento del glutatione sia, probabilmente, alla sua azione chelante di sostanze tossiche. Il LC possiede alti livelli di vitamine (ad esempio, A, B2, C e E) e di sali minerali (ad esempio, sodio, potassio, rame, magnesio e soprattutto zinco) che agiscono anche come antiossidanti, utili nel prevenire il danno tissutale, associato ad agenti tossici (47-49).

Studi sul modello animale

Gli studi su animali di laboratorio sono suggestivi per la potenziale azione antidiabetica del LC. In particolare, El-Said e col. hanno confermato l’azione antiossidante del LC, evidenziando un miglioramento dei livelli di malonilaldeide, catalasi e glutatione in conigli diabetici trattati con LC (50). Il gruppo indiano di Agrawal ha studiato per primo l'attività ipoglicemizzante del LC crudo e pastorizzato in ratti diabetici evidenziandone un effetto positivo. I livelli di glicemia nei topi diabetici trattati per 4 settimane con LC crudo sono passati da 169,68 ± 28,7 mg/dl a 81,54 ± 11,4 mg/dl (p <0,02), mentre quelli trattati con LC pastorizzato hanno mostrato solo una leggera diminuzione passando da 135,45 ± 20,91 mg/dl a 113 ± 29,09 mg/dl (51). Altri lavori successivi lavori hanno confermato un ruolo ipoglicemizzante al LC somministrato a topi e cani diabetici (52-56). Sboui e col. hanno studiato gli effetti di varie dosi di LC in cani resi diabetici con l’uso di alloxano. Sono stati arruolati all’inizio tre gruppi di cani: due composti da quattro cani diabetici ciascuno ai quali è stato somministrato LC o di mucca, e uno composto da quattro cani sani trattati con LC e usato come controllo. Ciascun animale è stato trattato con 500 ml di latte al giorno. In seconda battuta altri due gruppi di quattro cani diabetici ciascuno sono stati arruolati per comparare gli effetti di tre diverse dosi di LC: 100 ml, 250 ml e 500 ml. Dopo la terza settimana, i cani trattati con LC hanno mostrato una riduzione statisticamente significativa della glicemia e della concentrazione totale delle proteine. Per i livelli di colesterolo, c’è stata una riduzione dei livelli ematici a partire dalla seconda settimana. Non c’è stata una differenza significativa nella glicemia, colesterolemia e concentrazione totale delle proteine in cani che bevevano 250 e 500 ml di LC. Quelli trattati con 100 ml non hanno mostrato nessun miglioramento ematochimico. Tali effetti positivi si sono inoltre mantenuti stabili anche dopo la fine del trattamento con variazioni in accordo alla quantità di latte somministrata (57). In alcuni di questi studi è stata anche dimostrata anche la capacità del LC di modificare l’assetto lipidico degli animali diabetici con una riduzione significativa del livello di colesterolo totale (CT), di trigliceridi (TG), di acidi grassi liberi (FFA), di fosfolipidi (PLS), di colesterolo LDL e VLDL-C e aumento del HDL-C significativamente (52-56). Un esaustivo studio del gruppo di Mansour, non solo ha confermato l’effetto positivo del LC somministrato per 2 mesi in ratti diabetici sui parametri quali glicemia, insulinemia, leptinemia, colesterolo totale, HDL e marcatori dello stress ossidativo ma ha anche evidenziato la capacità del LC di modificare l’attività di alcuni geni coinvolti nel metabolismo dei carboidrati e del lipidi. Questi geni, quali il CPT-1, IRS-2,PK, e FASN, hanno espressione modificata nel diabete. Il LC avrebbe anche un effetto positivo del LC sulla funzionalità renale ed epatica di topi diabetici rispetto a quelli con latte di mucca e di bufala (58). La Tab. 4 riassume i principali studi.

Tab. 4. Studi sperimentali dell’effetto del LC su animali affetti da DM.

Studio Tipo di studio/ tot Gruppo caso Gruppo controllo Outcomes Durata intervento Risultati
  TOPI
Agrawal RP et al 2004 (13) RCT

/ n. 32

n. 8 con DM + 250 ml di LC crudo 1. n. 8 con DM  + 250 ml di LV

2. n. 8 con DM + acqua

3. n. 8 normali, no terapia

Glicemia 3 settimane Riduzione glicemia nel gruppo trattato con LC
Agrawal RP et al 2005 (14) RCT

/n. 40

1. n. 8 con DM + 25 ml/die di LC crudo

2. n. 8 con DM + 25 ml/di di LC  pastorizzato

3. n. 8 con DM + 5 ml/di di LC crudo+lattoferrina

1. n. 8 con DM  + 25 ml/die di LV

2. n. 8 normali, no terapia

Glicemia 4 settimane Riduzione glicemia in entrambi i gruppi trattati con LC, ma significatività statistica solo nel gruppo con LC crudo; l’aggiunta di lattoferrina non modifica il profilo glicemico
Al-Numair KS (2010) (15) RCT

/n. 30

n. 8 + 250 ml/die  LC n. 24  non trattati Glicemia, insulinemia, CT, TG, HDL, LDL, VLDL, FFA 45 giorni Riduzione glicemia, LDL, VLDL, FFA e aumento livelli di insulina nel gruppo trattato con LC
Alabdulkarin et al (2012) RCT/

n.30

n. 24 trattati con 50%-100% LC n. 6 non trattati Glicemia, CT 6 settimane No cambiamenti nella glicemia e CT nel gruppo trattato
Khan M et al  (2013) (16) RCT

/ n. 40

n. 8 con DM trattati con 400 ml/die LC 1. n. 8 normali, no trattamento

2. n. 8 normali + LC

3. n. 8 DM no trattamento

4.  n. 8 DM + terapia Insulina

Peso corporeo, SBG, GOT GPT, urea, acido urico, creatinina, CT, LDL, HDL, TG 30 giorni Riduzione glicemia, CT e TG nel gruppo con LC
Korish AA (2014) (17) RCT/ n. 80 n. 20  con DM trattati con 35 ml/die LC 1. n. 20 normali, no terapia

2. n. 20 normali + LC

3. n. 20 DM no terapia

Peso corporeo, FBG, HOMA-IR, glicemia, CT, TG, HDL, LDL, VLDL 8 settimane Riduzione glicemia, insulinemia e profilo lipidico nel gruppo con LC
  CANI
Sboui A et al (2010) (18) RCT/n. 12  1. n. 4 con DM +500 ml/die LC n. 4  con 500 ml/die di LV Glicemia, insulina, TG, CT 5 settimane Riduzione glicemia e CT nel gruppo LC e aumento glicemia e CT nel gruppo LV
2. n. 4 con 250 ml/die LC

3.  n. 4 con 100 ml/die LC

No trattamento 5 settimane Riduzione glicemia e  CT nei cani trattati con 250 ml/d di LC. No cambiamenti in glicemia e CT nel gruppo no trattamento

LC: latte di cammella, DM: diabete mellito, CT: colesterolo totale, TG: trigliceridi; HDL: high density lipoprotein, LDL: low density lipoprotein, VLDL: very  low density lipoprotein, FFA: free fatty acid.

Studi clinici

Le prime speculazioni sull’effetto positivo del LC nel diabete mellito sono emerse tra il 2002 e il 2003, quando Agrawal e col dimostravano come, somministrando 500 ml al giorno di LC per 3 mesi in adolescenti/giovani adulti con DM1, si osservasse un significativo effetto ipoglicemizzante, una riduzione della dose di insulina somministrata e una riduzione dell’HbA1C (59,60). Successivamente, gli stessi autori hanno valutato l’efficacia a lungo termine e la sicurezza del LC, in aggiunta alla terapia insulinica in pazienti con DM1 per un anno. La media dei livelli glicemici si riduceva sensibilmente passando da 119 ± 19 mg/dL a 95.42 ± 15.70 mg/dl (p<0.005), così come le dosi medie di insulina (61). Successivamente, gli stessi ricercatori hanno confermato questi interessanti dati con altri studi. Lo studio del 2007 condotto su 50 bambini diabetici all’esordio, randomizzati a ricevere o meno, in aggiunta alla terapia insulinica, 500 ml al giorno di LC crudo, per dodici mesi, ha dimostrato una riduzione della glicemia media da 115,15±14,50 mg/dl a 100,20±17,40 mg/dl nel gruppo che assumeva anche il LC. L’insulina richiesta per mantenere normali livelli di glicemia scendeva da 30,40 ± 11,97 U/die a 19,12±13,39 U/die (62). Lo stesso gruppo di lavoro ha pubblicato nel 2011 i dati su 24 pazienti diabetici suddivisi in due gruppi: uno in cui i partecipanti sono stati trattati con l’approccio standard ovvero dieta, esercizio e insulina; il secondo in cui, in aggiunta, i pazienti hanno ricevuto 500 ml di LC al giorno per ventiquattro mesi. Al termine del periodo nel secondo gruppo si è osservata riduzione della glicemia media da 118,58±19 mg/dl a 93,16±17,06 mg/dl, una riduzione del fabbisogno di insulina da 32,50±9,99 U/die a 17,50±12,09 U/die (in 3 pazienti diabetici del Gruppo II, il fabbisogno insulinico si è ridotto addirittura a zero nella parte finale dello studio). La Fig. 2 evidenzia i risultati dello studio.

 

Fig. 2 Dose media di insulina nel gruppo di controllo e in quello trattato con LC secondo lo studio di Agrawal (63).

Inoltre vi era un miglioramento più accentuato dei livelli di HbA1c nel Gruppo II rispetto al gruppo controllo (63). L’effetto ipoglicemizzante nel paziente diabetico è stato confermato da uno studio del gruppo egiziano/jemenita di El Sayed. Lo studio randomizzava 50 giovani adulti jemeniti (età intorno a 20 anni) con diabete tipo 1 divisi in tre gruppi: uno riceveva la terapia convenzionale con insulina iniettiva, un secondo gruppo riceveva in aggiunta alla terapia convenzionale 500 ml al giorno di LC fresco, un terzo gruppo aggiungeva nel LC da 5 a 20 U d’insulina ricombinante. Lo studio durava tre mesi. Al termine i risultati hanno evidenziato come nel secondo gruppo il controllo della glicemia e il fabbisogno d’insulina fosse significativamente migliorato rispetto al gruppo che non aveva assunto il LC (la glicemia passava da 199,46±4 mg/dl a 155,13±3,5 mg/dl, il fabbisogno di insulina da 55,1±1,4 U/die a 36,2). Questi parametri erano ulteriormente migliorati nel terzo gruppo: la glicemia passava da 205,3±2,16 mg/dl a 147,26±1,89 mg/dl e il fabbisogno complessivo d’insulina da 59,26±0,7 U/die a 20,0±0,35 U/die (64). Risultati analoghi sono stati ottenuti dal gruppo di Mohamed, in uno studio randomizzato a due braccia con 27 pazienti per braccio dove a un gruppo era somministrato LC (500 ml/die oltre all’insulina), mentre il gruppo di controllo riceveva solo insulina (65). Questi studi confermavano l’effetto positivo del LC sulla glicemia. Ma, dato molto interessante, dimostravano anche come l’insulina ricombinante, normalmente utilizzata per via iniettiva nel paziente diabetico e che non funziona se somministrata per bocca, quando aggiunta al LC e somministrata per bocca, mantenesse una azione sul controllo della glicemia (64). Questa interessante osservazione supporta l’ipotesi che siano le proprietà del LC a rendere assorbibile l’insulina e non tanto le caratteristiche strutturali dell’insulina di questo latte, che come vedremo in seguito, è quasi identica a quella umana. Nessun evento avverso è stato segnalato dalla somministrazione del LC nei pazienti diabetici dimostrandone un ottimo profilo di sicurezza (62-67). Gli studi hanno anche dimostrato che, oltre all’effetto ipoglicemizzante, il LC modificava anche il livello di HbA1c, il profilo lipidico e dell’insulinemia (55-70). La Tab. 5 riassume i principali studi clinici del LC nel DM.

Tab. 5 Studi clinici relativi all'effetto del LC nel DM 1.

Studio Tipo di studio/tot popolazione Gruppo caso Gruppo controllo Outcomes Durata intervento Risultati
Agrawal RP et al (2003) RCT/ 24 pz DM1 n. 12 pz terapia standard+ 500 ml/die LC n. 12 pz terapia standard BMI, HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide, profilo lipidico 3 mesi Riduzione dose di insulina, glicemia, HbAIc, no cambiamenti nell’insulinemia e profilo lipidico
Agrawal RP et al (2005) (22) RCT/ 24 pz DM1 n. 12 pz terapia standard + 500 ml/die LC n. 12 pz terapia standard BMI, HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide 1 anno Riduzione dose di insulina, glicemia, HbAIc, aumento BMI,
Agrawal RP et al (2007) (25) Studio di coorte/50 pz DM1 n. 25 pz terapia intensa insulinica+ 500 ml/die LC n. 25 pz terapia insulina intensa BMI, HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide, anticorpi-antiinsulina 1 anno Riduzione dose di insulina, glicemia nel gruppo con LC
Mohamed RH et al (2009) (26) RCT/ 54 pz DM1 n. 27 pz terapia standard+ 500 ml LC n. 27 pz terapia standard BMI, HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide, CT, TG, VLDL, LDL, anticorpi-antiinsulina 16 settimane Riduzione dose di insulina, glicemia, HbAIc, CT, TG; aumento BMI e  insulinemia e c-peptide nel gruppo trattato con LC
Agrawal RP et al (2009) (27) Studio coorte/24 pz DM1 n. 24 pz terapia standard+ prima e dopo 500 ml/die LC n. 12 pz terapia standard Microalbuminuria,  HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide, CT, TG, VLDL, HDL, LDL, BMI 6 mesi Riduzione dose di insulina e LDL; no cambiamenti HbAIc, glicemia e insulinemia nel gruppo con LC
Agrawal RP et al (2011) (28) RCT/ 24 pz DM1 n. 12 pz terapia standard+ 500 ml LC n. 12 pz terapia standard BMI, HbAIc, insulinemia, glicemia, dose insulina, c-peptide, anticorpi-anti-insulina 24 mesi Riduzione dose di insulina e anticorpi-anti-insulina, aumento BMI e c-peptide nel gruppo con LC
El- Sayed MK (2011) et al (29) RCT/ 50 PZ 1. n. 15 pz 500 ml/die di LC

2. n. 15 pz terapia standard+ 500 ml/die LC

n. 15 n pz terapia standard Glicemia, HbAIc, insulina,BMI, CT, TG, HDL, LDL, VLDL 3 mesi Miglioramento del profilo lipidico, glicemia e insulina nei pz trattati sia con solo LC che maggiormente in quelli con terapia combinata con LC e insulina

LC: latte di cammella, DM: diabete mellito, BMI: body mass index, CT: colesterolo totale, TG: trigliceridi; HDL: high -density lipoprotein, LDL: low-density lipoprotein, VLDL: very  low density lipoprotein.

Per quanto riguarda il DM2, gli studi sono più limitati. Agrawal e coll. hanno dimostrato come l’aggiunta del LC alla dieta quotidiana e alla prevista terapia ipoglicemizzante, migliori il controllo della malattia con riduzione dell’insulina da somministrare. Agrawal e coll. hanno confrontato 14 maschi sani e 14 maschi (età 44-54 anni) con DM2 in trattamento con ipoglicemizzanti orali. Sono stati somministrati 500 ml/die di latte vaccino bollito al primo gruppo e 500 ml/die di LC crudo al secondo gruppo, per tre mesi; successivamente dopo un mese di wash-out il regime terapeutico è stato invertito nei due gruppi per altri tre mesi. Al termine dello studio, la glicemia, l’insulinemia e HbAIc mostravano un trend migliore sia nei soggetti diabetici sia nei controlli sani dopo la somministrazione del LC. Nessun effetto invece si osservava dopo i tre mesi in cui i pazienti o i controlli avevano assunto latte vaccino (71). Analoghi risultati sono stati ottenuti dal gruppo iraniano di Ejtahed e coll. che nel 2015 hanno studiato 20 pazienti (età 20-70 anni) con DM2 in trattamento dietetico o con ipoglicemizzanti orali, i quali erano stati randomizzati a ricevere per due mesi 500 ml/die di LC o LV. Alla fine del periodo, i pazienti che avevano ricevuto il LC avevano livelli d’insulinemia statisticamente superiori all’altro gruppo, senza sostanziali modifiche nella glicemia, del profilo lipidico e pressorio. I risultati, come illustrato nella Fig. 3, dimostravano come il LC fosse in grado di trasferire dell’insulina maggiormente assorbibile che determini un aumento della concentrazione dell’ormone nel sangue, confermando la capacità di questo latte di riuscire a garantire un miglior controllo glicemico nel DM1 (72). Uno studio analogo è stato condotto da Wang e coll. in 12 pazienti randomizzati a ricevere o meno 500 ml/die di LC per 10 mesi in aggiunta alla terapia standard con rosiglitazone. Nel gruppo con LC la glicemia media si è ridotta da 123,0 a 94,2 mg/dl, p<0,001, la dose del farmaco da 4,67 a 1,67 U/die p<0,001, l’insulinemia da 19,76 a 6,21 mU p<0,001. Osservata anche una riduzione significativa di trigliceridi e colesterolo passati rispettivamente da 1,83 a 1,42 mM/L (p<0,001) e 7,7 a 6,1 mM/L (p<0,001) (73).

Fig. 3 Dose media di insulina e valori di glicemia nel gruppo trattato con LC e nel gruppo di controllo. Da Ejtahed et al. (72).

In considerazione del rapporto tra il LC e il DM, il gruppo di Agrawal ha effettuato ricerche epidemiologiche che mostravano una bassa prevalenza di DM nelle comunità del nord-ovest del Rajasthan (Pakistan), suggerendo un nesso di causalità con il consumo abituale del LC. In un primo studio sono stati arruolati oltre 2000 partecipanti provenienti da differenti villaggi del nord-ovest del Rajasthan, delle comunità Raica e non-Raica, distinguendo i gruppi a seconda che abitualmente consumassero o no LC nella loro alimentazione. La prevalenza di diabete nella comunità Raica che consumava LC (501 soggetti) era pari a zero; in quella che non consumava tale latte (554 soggetti) era dello 0,7%; nella comunità non-Raica che consumava LC (515 soggetti) era dello 0,4% mentre in quella non-Raica che non ne faceva uso (529 soggetti) era significativamente più alta, circa 5,5%. Interessante l’osservazione che i soggetti che consumavano LC avevano anche migliori parametri della glicemia a digiuno (iperglicemia presente nel 3,2%) e di ridotta tolleranza al glucosio (presente nell’8,6%) rispetto ai soggetti che consumavano LV, rispettivamente presenti nel 7,8% e 20,6% dei soggetti. Si poteva pertanto concludere come il consumo di LC fosse associato a un’importante riduzione del diabete (74). Lo stesso gruppo ha successivamente ripreso gli studi sulla popolazione Raica del deserto del Rajasthn, che abitualmente consuma LC e presenta una bassissima prevalenza di DM1. I ricercatori, oltre a confermare la pressoché assenza di DM1 in questa popolazione, hanno anche evidenziato la diffusa presenza di aplotici del sistema HLA predisponenti al DM1, confermando l’ipotesi che l’assunzione abituale del LC possa giocare un ruolo protettivo nei confronti dello sviluppo della patologia (75). Il rapporto tra prevalenza di diabete e consumo di LC è stato recentemente ripreso da uno studio epidemiologico sul diabete nei bambini indiani (76).

Meccanismo d’azione del LC nel paziente diabetico

Nei pazienti diabetici, il trattamento è basato sulla somministrazione dell’insulina nella sua forma iniettabile. La terapia insulinica è stata introdotta nel 1922 e ha rappresentato una svolta epocale nella storia della malattia, che diventava una malattia cronica curabile. Vengono successivamente messe in commercio insuline di estrazione bovina e nel 1974 le prime insuline porcine. Nel 1980 inizia la produzione d’insulina umana ottenuta con l’ingegneria genetica (tecnica del DNA ricombinante applicata al batterio Escherichia coli). Le insuline commercializzate hanno differenti caratteristiche e soprattutto emivita diversa, ma la somministrazione deve comunque essere eseguita più volte al giorno e proseguita per tutta la vita. La compliance a un trattamento così invasivo e di lunga durata rappresenta un elemento di criticità, soprattutto in età pediatrica. La possibilità della somministrazione orale dell’insulina ha suscitato pertanto da sempre molto interesse, ma in passato non sono stati ottenuti risultati a livello clinico, in quanto l’insulina, se somministrata per bocca è degradata quasi totalmente a livello gastrico. Solo nel marzo 2019 il gruppo di Halberg ha pubblicato risultati di uno studio di fase 2 che hanno dimostrato l’efficacia di un’insulina orale, modificata in alcune sequenze aminoacidiche e coniugata con caprato di sodio, nel trattamento di pazienti adulti con DM2 (77).

L’effetto del LC sul controllo della glicemia nel diabete è stato ben documentato sia negli animali da esperimento sia nella pratica clinica, ma il meccanismo che sottende all’azione ipoglicemizzante non è tuttavia ancora ben chiarito. In una recente revisione, Ayoub enfatizza il ruolo dell’insulina o di proteine insuline-like, ovvero proteine che mimano l’azione dell’insulina, nel LC, ma si sottolinea anche la possibilità dell’intervento di altri meccanismi molecolari e cellulari nella sintesi e nella secrezione di insulina endogena (78). La concentrazione d’insulina è particolarmente alta nelle prime 48 ore di lattazione: nel colostro raggiunge valori medi intorno a 286,5 U/l, successivamente scende a valori medi di 60 U/l ( con valori anche di 150 U/L) e tale si mantiene durante tutta la lattazione. L’insulina ha una concentrazione molto più alta nel LC rispetto a quella del latte vaccino (valori di 16-17 U/l) e di quello umano (67). Malik e coll. (Arabia Saudita) si sono avvalsi di tecniche di bioinformatica per studiare il ruolo e le caratteristiche dell’insulina presente nel LC. I modelli 3D dell’insulina umana e di cammella sono risultati essenzialmente gli stessi. L’insulina di cammella differisce da quella umana per quattro mutazioni e, da quella di bufalo e bovino solo per una (68). Un recente studio del gruppo saudita di Wafa Almohmadi, i cui risultati preliminari sono stati presentati a “Nutrition 2019”, utilizzando metodiche immunologiche, ovvero anticorpi anti-insulina, non ha confermato gli alti valori di insulina nel LC (79). I differenti risultati potrebbero essere in parte dovuti al fatto che l’insulina del LC ha alcune sequenze aminoacidiche differenti rispetto al LM e LV e quindi meno riconoscibili dai sistemi immunologici (78).

Nessuna delle caratteristiche dell’insulina contenuta nei vari tipi di latte altera la specificità nei confronti degli enzimi digestivi, perciò l’insulina di cammella come quella umana, bovina, di capra, di bufalo, di pecora e di maiale, quando a contatto con le proteasi del tratto digerente, viene completamente degradata. Per raggiungere integra l’intestino dovrebbe essere preservata intatta nello stomaco. Una spiegazione possibile può essere ritrovata nelle caratteristiche uniche del LC. L’assunzione del LV e di LM non influenza glicemia a differenza di quanto avviene per il LC. Negli animali da esperimento si può dimostrare come l’insulina contenuta nel LC non sia degradata a livello gastrico e, una volta arrivata nell’intestino, possa essere assorbita intatta e possa svolgere la sua funzione sul controllo della glicemia (56). Un meccanismo simile è ipotizzabile anche nell’uomo anche se mancano studi sperimentali che dimostrino la presenza dell’insulina intatta nell’intestino dopo l’assunzione di LC. Resta da capire perché l’insulina presente nel LC non subisca la denaturazione a livello gastrico. Questo differente comportamento non sarebbe tanto da ascrivere a delle differenze tra i vari tipi d’insuline o proteine insuline-like presenti nel LC, quanto alle caratteristiche peculiari del LC. Questo latte, infatti, non coagula al basso pH gastrico, ha una buona capacità tampone, ha proporzioni differenti di caseine e acidi grassi e produce micelle lipidiche più larghe rispetto a quanto osservato nei latti degli altri mammiferi. Questi fattori impedirebbero che l’insulina e le proteine insuline-like vengano degradate nello stomaco (63-80). Le stesse passerebbero quindi intatte nell’intestino e sarebbero disponibili per essere assorbite. È stato anche ipotizzato che l’insulina possa essere incapsulata in micelle nanoparticelle del volume di 260-360 nm e passi attraverso lo stomaco direttamente nell’intestino (63-80). Infine è stato evidenziato come le sequenze aminoacidiche di molte proteine contenute nel LC siano ricche di emicistina, conferendo somiglianza con i peptidi della famiglia dell’insulina con effetto protettivo sulle β-cellule pancreatiche (63-80). D’altra parte merita sottolineare quanto dimostrato dallo studio di El Sayed, prima riferito, che evidenziava come aggiungendo dell’insulina iniettabile al LC, questa risultasse efficace nel controllo della glicemia (64). Rivestirebbe un ruolo anche l’elevato contenuto di zinco, che svolge un ruolo chiave nell’attività secretoria dell’insulina nelle β-cellule del pancreas (40). Non si può escludere, infine, che alcune erbe di cui abitualmente si nutrono i cammelli potrebbero far secernere nel latte dei fitocomposti ad azione ipoglicemizzante (68). Quindi non sarebbe solo una caratteristica dell’insulina del LC quanto le caratteristiche complessive del latte stesso (63-80). Un effetto del tutto sovrapponibile è stato ottenuto con latte fermentato, il cui uso come detto, è molto diffuso tra le popolazioni del deserto (81).

Altri meccanismi sono stati ipotizzati, come quello del LC di agire a livello del recettore per l'insulina umana (HIR) e delle sue relative vie di segnalazione intracellulare. L’insulina del LC agirebbe direttamente sui tessuti insulina-sensitivi. L’insulina, inducendo uno stato di euglicemia, metterebbe a risparmio l’attività delle β-cellule pancreatiche, preservandone la funzione nel tempo (80). Quest’ultimo processo potrebbe essere mediato anche dalle caratteristiche anti-infiammatorie, anti-apoptotiche e antiossidative del LC sul pancreas. È stata anche ipotizzata un’azione della lattoferrina sui recettori dell’insulina (63,67,70,80). Il LC potrebbe anche interagire negativamente sui recettori del glucagone, riducendo o inibendo il rilascio di glucosio dal fegato, oppure riducendo la secrezione stessa di glucagone al livello pancreatico (78,82). È stato dimostrato come nella chetoacidosi diabetica le endotossine circolanti attivino i toll-like receptors (TLR-4), che a loro volta attivano la via del p38MAPK e l’NF-kB, provocando un quadro iperinfiammatorio che danneggia il rene. È stato anche evidenziato un rapporto tra TRL-4 e HbA1C, dimostrando un rapporto tra l’infiammazione e il controllo metabolico e i quadri clinici associati. Partendo da questi presupposti, nello studio randomizzato effettuato al Cairo Mohammed ha analizzando una coorte di 60 pazienti pediatrici in chetoacidosi diversi parametri ed ad altri a significato infiammatorio, quali la lipocalina 2, il KIM-1 (Kidney Injury Molecule1) l’Il1B, IL-10, IL18. Gli autori hanno evidenziato come l’aggiunta di LC alla terapia insulinica riduceva significativamente i livelli di sostanze ad azione proinfiammatoria e la dose di insulina da somministrare. Questo studio sottolineava ulteriormente, e in modo originale, il ruolo anti-infiammatorio del LC nel trattamento del DM (83). Mudgil ha dimostrato nel LC la presenza di numerosi peptidi bioattivi ad azione antiossidanti e antidiabetica (84). A una conclusione analoga è giunto anche il gruppo giapponese di Ibrahim, che ha evidenziato anche un'importante azione antiossidante di peptidi bioattivi derivati sia dalla caseina sia dalle sieroproteine del LC (19).

A corollario degli studi sull’effetto ipoglicemizzante, gli studi hanno anche valutato l’eventuale impatto del LC sulle complicanze cardiovascolari e renali del diabete (85-87). È stato dimostrato da Agrawal e coll. come la somministrazione di questo latte per sei mesi a pazienti diabeti con interessamento renale (presenza di microalbuminuria) migliorasse il quadro renale e il profilo lipidico. In uno studio sono stati arruolati ventiquattro pazienti diabetici di tipo I con microalbuminuria ai quali sono stati somministrati 500 ml/die di LC per 6 mesi. Il risultato è stato di un significativo miglioramento della microalbuminuria dopo aver ricevuto il LC, con un lieve aumento del BMI medio (119,48±1,68 mg/dl rispetto 22,52±2,68 mg/dl; p<0,001). La dose media d’insulina per ottenere il controllo glicemico si è significativamente ridotta (da 41,61±3,08 U/die a 28,32±2,66 U/die; p<0,01), così com’era evidente un cambiamento importante del profilo lipidico (85,86).

Altre problematiche strettamente associate al DM sono le alterazioni dei lipidi plasmatici, rendendo ragione delle varie complicanze vascolari e dell’aumentato rischio di malattie cardiache. I risultati sono meno evidenti rispetto a quelli ottenuti sul controllo glicemico. Agrawal e coll. in uno studio condotto su 14 pazienti con DM2 trattati con LC (500 ml/die) per 6 mesi non osservavano significative differenze nel profilo lipidico rispetto ai pazienti trattati con LV (71). El-Sayed e col. hanno invece trovato una significativa riduzione di LDL-C e TG con un aumento del HDL, nei pazienti con DM 1 trattati con il LC per 3 mesi, come riportato nella Tab. 6 (64). In particolare, tale dato assumeva maggior rilevanza quando il LC era somministrato come terapia adiuvante nei pazienti con DM1, con riduzione del livello di TC e TG del 25% e 37%, rispettivamente, dopo trattamento con LC per 16 settimane; tuttavia, non vi erano differenze significative di HDL, LDL e VLDL dopo il trattamento (85). Al contrario, lo studio condotto da El-Sayed e col, mostrava come nei pazienti trattati con solo LC erano diminuiti significativamente sia i livelli di TG di circa tre volte che di TC e LDL-C, di circa due volte rispetto al gruppo con solo terapia insulinica. Ma, dato più interessante, si aveva nel gruppo trattato in combinazione con insulina e LC una significativa riduzione di TG e TC (di circa il 45%) e LDL-C (di circa il 30%), ma anche un aumento del livello di HDL-C (da 41 mg/dL a 49 mg/dL) (64).

Tab. 6 Effetto della atorvastatina (20 pz.) e del LC(19 pz.) sul profilo lipidico secondo lo studio di El-Sayed (64).

Parametro Pre-trattamento
statina
Dopo trattamento
statina
p Pre-trattamento
LC
Dopo trattamento
LC
p
LDLC

mmol/l-7

       4,2+/-0,5 3,5+/-0,8 0,047 4,3+/-0,8 3,6+/-1,0 0,006
Colesterolo

mmol/l-1

6,6+/-0,5 5,4+/-0,9 0,001 6,5+/-0,9 5,8+/-0,9 0,003
Trigliceridi

mmol/l-1

1,5+/-0,6 1,4+/-0,6 0,314 1,9+/-0,9 2,0+/-1,0 0,680
HDLC

mmol/l-1

1,5+/-0,6 1,3+/-0,4 0,005 1,3+/-0,4 1,2+/-0,4 0,043

 

Infine, un altro aspetto interessante è quello riguardante il possibile effetto benefico del LC sulla guarigione delle ferite del diabetico. Badr ha dimostrato che le proteine del LC riducono significativamente le dimensioni delle ferite nei topi nei quali era stato indotto il diabete e poi nutriti per un mese con LC (53). Mancano tuttavia esperienze cliniche. È stato ipotizzato che le proteine del siero di latte siano in grado di accelerare la guarigione delle ferite nei pazienti diabetici, migliorando la risposta immunitaria delle cellule dei tessuti interessati. Il LC contiene, infatti, un gruppo variegato di proteine come l'albumina sierica, α-lattoalbumina, immunoglobuline, lattoferrina e proteine di riconoscimento del peptidoglicano, con azioni immunologiche in grado di intervenire nel processo di guarigione. Questo risultato è stato correlato con vari quadri istopatologici, come l'aumento dell’attività di cicatrizzazione, la neo-angiogenesi, la formazione di tessuto di granulazione e il rimodellamento della matrice extracellulare (53).

La letteratura è ormai sufficientemente probativa per un possibile ruolo terapeutico, integrato al trattamento insulinico, del LC nella gestione del diabete, in quanto in grado di ridurre i livelli di glicemia e di HbA1c e il fabbisogno di insulina. IL LC sarebbe in grado anche di limitare le complicanze, abbassando i livelli di colesterolo, migliorando la funzionalità epatica e renale, riducendo lo stress ossidativo e promuovendo la guarigione dalle ferite. L’alta concentrazione d’insulina nel colostro di cammella e la sua disponibilità in commercio (preparato in polvere) potrebbe rendere particolarmente interessante anche l’uso di questo prodotto nel trattamento dei pazienti diabetici. Mancano tuttavia al momento studi clinici.

ALLERGIE ALLE PROTEINE DEL LATTE VACCINO

Il LM contiene tutti i principi nutritivi essenziali per la crescita e lo sviluppo psicofisico del bambino e ne costituisce l’alimento ideale. Il LM è quindi consigliato come alimento esclusivo per i primi cinque-sei mesi di vita e dopo il divezzamento in aggiunta ai pasti non lattei, almeno per tutto il primo anno e oltre, ove possibile. Nei casi in cui l’allattamento materno non sia possibile o sia insufficiente, è necessario ricorrere all’allattamento artificiale con “latti formulati” derivati dal LV. Questi latti che hanno formulazioni differenziate in ragione dell’età del bambino e devono essere prescritti per i primi 24-36 mesi. Solo successivamente si dovrebbe introdurre il LV intero. Questo latte contiene diverse caseine (80%) e sieroproteine (20%) che possono scatenare reazioni allergiche, IgE mediate e, più raramente, non-IgE mediate. Alcune di queste proteine sono considerate allergeni primari o maggiori. Purtroppo il 2-6% dei bambini sviluppa un’allergia alle proteine del LV presenti inalterate anche nei latti formulati (APLV). Nella maggior parte dei casi, l’allergia è sostenuta dalla β-lattoglobulina e, in misura minore, dalla caseina. Benché nella maggior parte dei bambini (85%) quest’allergia regredisca entro il quinto anno di vita, circa il 15% dei pazienti, soprattutto con una forma IgE-mediata, mantiene l’allergia anche fino alla seconda decade di vita. La gestione dei bambini con APLV rappresenta un problema delicato da affrontare. Il principio fondamentale del trattamento è infatti rappresentato dall’eliminazione delle proteine del latte vaccino dalla dieta, garantendo al contempo un adeguato apporto nutrizionale. Formule di soia e di riso, o idrolizzati di soia e di riso, non sono più considerate dalla maggioranza delle raccomandazioni opzioni nel trattamento dell’APLV. Gli idrolizzati estensivi di LV, che peraltro mostrano una variabile attività allergenica residua, garantiscono una buona crescita staturo-ponderale ma l’elevato costo e la scarsa palatabilità limitano la compliance dei pazienti e delle famiglie. Secondo le linee guida dell’European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN) e dell’European Society for Pediatric Allergology and Clinical Immunology (ESPACI) e dell’American Academy of Pediatrics (AAP), recentemente riprese dalle linee guida DRACMA dell’Organizzazione Mondiale contro le allergie (WAO), soltanto le formule a base di amminoacidi liberi (AA) possono essere considerate non allergeniche. Oggi sono soprattutto queste formulazioni aminoacidiche a garantire una tolleranza ottimale e un apporto nutrizionale adeguato, ma anche in questo caso la scarsa palatabilità e l’alto costo rappresentano elementi negativi da considerare per una buona compliance delle famiglie. Nel tempo sono stati proposti come sostituti del LV latti di altri mammiferi, quali il latte di bufala, di pecora, di cavalla, di capra e soprattutto di asina. Diversi studi hanno tuttavia dimostrato come bambini con APLV risultino non infrequentemente allergici alle proteine del latte di altre specie per l’instaurarsi di una cross-reazione immunologica (88-95). Al momento il latte di asina è quello che gode di maggior attenzione e contributi scientifici, ma la sua tollerabilità va testata in modo accurato caso per caso (96). L’elevato costo e le difficoltà di creare delle filiere sul territorio che ne garantiscano qualità e buona conservazione ne limitano la diffusione (97).

Il LC risulta abbastanza differente nella composizione rispetto al LV. In particolare, come il LM il LC manca della β-lattoglobulina, ha approssimativamente il doppio di β-caseina e cinque volte tanto in immunoglobuline rispetto al LV. Le caseine hanno, inoltre, differenze in alcune sequenze aminoacidiche rispetto al LV. Questi fattori potrebbero dipendere della distanza evolutiva tra le famiglie dei camelidi e quelle dei bovinidi. A tal proposito è interessante citare un colto studio dell’israeliano Katz. Partendo dalla considerazione della filogenesi delle β e κ caseine, gli autori hanno evidenziato come i geni coinvolti nella sintesi di queste proteine siano molto simili nella capra, pecora, cervo ovvero animali “Kosher” e differenti dai geni del cammello, maiale e zebra, ovvero animali “non Kosher” quali descritti nel Vecchio Testamento. Questo autore ha analizzato 24 bambini di età compresa tra 1 e 48 mesi con APLV testandone la cross-reattività verso i latti di queste specie animali. Hanno così evidenziato che era presente una reattività solo verso il latte degli animali “Kosher” e non verso i “non Kosher” tra cui il LC. Gli autori concludevano circa la possibilità di utilizzate il LC per i bambini con APLV (98). Un’analoga opzione era ritenuta suggestiva anche dal gruppo di Fiocchi che affermava «Among the mammalian species that are proposed to be suitable as a valid substitute of cow’s milk-based formulas, the CAM (LC) has a unique spectra profile that could have interesting properties in the nutrition of children» (15). Il gruppo italiano di Restani ha dimostrato come il siero di pazienti con APLV non riconosceva con immunoblotting il LC e concludevano come il LC potesse rappresentare una promettente alternativa per i bambini con APLV (99). Recentemente, il gruppo danese di Maryniak ha eseguito un studio su topi dimostrando come, sebbene il LC e il LV mostrino simile immunogenicità e potenziale allergicinità, la cross reattività tra i due latti appare bassa (100). Gli autori hanno dimostrato anche un’alta percentuale di identità delle sequenze aminoacidiche tra LV e il latte di capra e pecora, e una più bassa identità nelle sequenze delle varie classi di proteine tra LV e al LC, rispetto ad altre specie quali pecore e capre (100). La Tab. 7 riassume questi dati.

Tab. 7 Identità delle sequenze aminoacidiche delle proteine tra il latte di diverse specie.

CAPRA PECORA CAMMELLA DONNA
CASEINA β-caseina 91 91 67 55
CASEINA as1-caseina 88 88 47 33
CASEINA as2-caseina 88 89 56 NA
CASEINA k-caseina 85 85 58 52
SIEROPROTEINE α-lattoglobulina 95 95 60 74
SIEROPROTEINE β-lattoglobulina 93 95 Non presente Non presente
SIEROPROTEINE albumina 88 92 81 76
SIEROPROTEINE lattoferrina 92 92 75 70

 

Queste caratteristiche, secondo gli autori fanno del LC una promettente alternativa per il bambini con APLV. Analoghi risultati sono stati ottenuti dal gruppo di Kappeler, dal gruppo americano di Vojdani e dal gruppo francese di Boughellout, che hanno evidenziato nei pazienti con APLV una minor reattività del LC rispetto ad altre specie come pecore e capre (101-103). Nel 2005 il gruppo israeliano di Shabo ha valutato gli effetti della somministrazione di LC fresco in 8 bambini di età compresa tra 4 mesi e 10 anni affetti da APLV e sintomi che variavano dall’alvo diarroico al vomito, dall’eruzione cutanea all’asma. Già dopo 24 ore dall’assunzione del LC, molti dei sintomi erano diminuiti e dopo 4 giorni i sintomi erano completamente regrediti. Nessuna recidiva allergica era riportata. Gli autori suggerivano pertanto che il LC possa avere un ruolo terapeutico per soggetti con APLV, sottolineando tuttavia la necessità di ulteriori studi per confermare i risultati (104). Gli stessi autori, valutando la composizione del LC, ipotizzavano anche che la pastorizzazione del latte non altererebbe l’immunogenicità delle proteine (104). In un altro studio, Ehlayel et al. (Qatar) hanno testato, dall’aprile 2007 al febbraio 2010, 35 bambini (25 maschi e 12 femmine) con APLV, di età compresa tra 4 e 126 mesi, che presentavano sintomi quali orticaria (65,7%), dermatite atopica (48,6%), shock anafilattico (27,7%), scarsa crescita per ridotto introito nutritivo (22,9%) e vomito cronico (14,3%) e diagnosticati tramite prick-test positivo, incremento degli eosinofili, delle IgE totali e specifiche. Ai bambini che mostravano negatività ai prick-test con LC veniva somministrato LC come alternativa al LV. In questo studio, il LC era sterilizzato a 100-120 °C per 10-20 minuti, conservato a 4 °C e somministrato entro 3 giorni. Gli autori concludevano che il LC può rappresentare un’ottima alternativa al LV per il trattamento dell’APLV e che il prick-test con il LC può essere uno strumento utile per selezionare i pazienti a cui somministrarlo in sicurezza (105). Il gruppo di Wernery, studiando l’immunoreattività del siero di 10 pazienti con APLV verso il LC o il LV, ha osservato una significativa differenza a vantaggio del LC.

Fig. 4 Elettroforesi delle proteine del latte di vaccino comparato con il latte di cammella.

El-Agami e col, studiando 40 bambini con APLV, dimostrò come le IgE del loro siero reagissero con le proteine del LV mentre non reagivano con le proteine del LC, confermando la differente antigenicità dei due tipi di latte. Gli autori concludevano affermando come il LC, per la differenza degli epitopi delle varie proteine e soprattutto l’assenza di β-lattoglobulina, fosse un candidato particolarmente interessante nel trattamento dell’APLV, ipotizzando anche la possibilità di preparazioni industriali formulate (106). Un recente studio del gruppo messicano di Navarrete-Rodríguez ha valutato 15 pazienti con APLV randomizzati in doppio cieco a ricevere un test di provocazione orale con LC (8 pazienti con età di 4,4 anni; range 1,5-7 anni) o miscela di aminoacidi (7 pazienti con età media di 2,0 anni; range 1,8-9,5 anni). I risultati sono stati del tutto sovrapponibili nei due gruppi senza alcuna allergica osservata, confermando la buona tollerabilità del LC soggetti con APLV, sovrapponibile a quelle delle miscele di aminoacidi (107).

Nostri dati personali dimostrano come molti pazienti allergici alle proteine del latte vaccino abbiano negatività o minore reattività ai test cutanei con il LC (108).

L’impiego del LC non può escludere la possibilità che i soggetti sviluppino una allergia alle sue proteine. Al meglio delle nostre conoscenze sono segnalati due report. In uno è segnalato un bambino di 6 anni con allergie multiple e famigliarità positiva per allergia che ha sviluppato uno shock anafilattico dopo l’assunzione di LC (109). Il secondo report è un’analisi retrospettiva eseguita da Elhayel su un periodo di 20 anni in Qatar, che ha evidenziato solo 9 casi di allergia al LC. Si trattava di pazienti di età compresa tra 1 e 30 anni, tutti con familiarità positiva per malattie allergiche, che mostravano anche altre allergie alimentari (APLV in due casi). In 4 casi i pazienti avevano presentato un’anafilassi dopo assunzione di LC. Gli autori concludevano sottolineando come l’allergia al LC sia un evento raro, che insorge in un contesto famigliare e personale di allergie multiple, e come l’assunzione precoce possa essere un fattore inducente. Pertanto gli autori ne suggerivano comunque l’impiego nei soggetti con APLV con le cautele del caso (110).

Tuttavia, dal momento che il LC contiene abbondanti quote di caseina e una discreta percentuale di α-lattoalbumina, la possibilità che si possa avere una successiva sensibilizzazione con insorgenza di reazioni allergiche non è da sottovalutare. Dall’analisi dei dati della letteratura, è tuttavia ipotizzabile che nei bambini con APLV l’utilizzo terapeutico del LC possa rappresentare un buon sostituto del LM, paragonabile in termine di sicurezza e potere nutritivo agli AA, rispetto alle quali si ha certamente una migliore palatabilità. Tuttavia, data la numerosità dei pazienti relativamente modesta, la cautela è assolutamente d'obbligo. Tenuto conto della recente disponibilità del LC anche nei paesi occidentali, se altri studi clinici confermeranno su più ampie casistiche le sue potenzialità nel trattamento dell’APLV, il LC potrebbe rappresentare, in casi selezionati (escludendo ad esempio i bambini che abbiano manifestato una anafilassi con il latte vaccino), un sostituto dei latti ipoallergenici o delle AA, nonché un’eventuale alternativa al latte di altre specie animali quali quello di asina.

ALTRE MALATTIE

Sono molte malattie e disturbi che potrebbero trovare giovamento dall’assunzione del LC, sfruttandone soprattutto l’azione antiossidante, anti-infiammatoria, immunomodulante e anti-infettiva. I dati ottenuti in laboratorio sono abbastanza indicativi sulle potenzialità terapeutiche del LC in diverse patologie. Per contro, i dati clinici sono al momento spesso solo aneddotici o riferiti dalle medicine tradizionali. Quindi vanno considerati con cautela in mancanza di studi su più ampie casistiche.

Malattie neurologiche e disturbi dello spettro autistico

L’autismo è un disordine dello sviluppo neurologico, con insorgenza prima dei tre anni di età, caratterizzato da menomazioni dell’orientamento sociale e della comunicazione e comportamenti ripetitivi. Si associa a malattie autoimmuni, malattie gastrointestinali, disbiosi e ritardo mentale. Sebbene l'eziopatogenesi sia ancora poco conosciuta, si ipotizza che diversi fattori possano entrare in gioco: fattori immunitari, ambientali, neurochimici e genetici. È probabile che lo stress ossidativo svolga un ruolo importante se non fondamentale nella sua patogenesi, come in altre malattie neurologiche quali il morbo di Alzheimer, la malattia di Parkinson, la schizofrenia e il disturbo bipolare. Lo stress ossidativo si verifica quando i livelli di specie reattive dell'ossigeno (ROS) superano le capacità antiossidanti di una cellula. I ROS all’interno delle cellule sono neutralizzati da meccanismi di difesa come la superossido-dismutasi (SOD), la catalasi e la glutatione perossidasi (GSH-Px). Nell’autismo, l’aumento della produzione di ROS può comportare una riduzione del numero di cellule cerebrali. Inoltre, l’incremento dello stress ossidativo in questi soggetti porta a una diminuzione dei livelli di antiossidanti non enzimatici che a sua volta può contribuire al ritardo nello sviluppo che si verifica nell’autismo (111,112). È ipotizzabile quindi, che vi possa essere un effetto benefico di sostanze antiossidanti. Il rapporto tra nutrizione e autismo è corroborato da numerosi risultati sperimentali e clinici che hanno studiato vari tipi di diete quali la dieta chetogenetica, quella senza glutine, quella senza caseina, quella con la curcuma o quella con probiotici come riportato nella recentissima revisione di Cekici e Sanlier (113). Partendo dal presupposto che lo stress ossidativo giochi un ruolo chiave nella patologia autistica, alcuni autori hanno valutato l’effetto del LC sui biomarcatori dello stress ossidativo nei bambini autistici, El-Ayadi e col. hanno valutato l’effetto del LC sui biomarkers dello stress ossidativo nei bambini autistici, attraverso la misurazione dei livelli plasmatici di glutatione (GSH), superossido-dismutasi (SOD) e mieloperossidasi (MPO) prima e due settimane dopo il consumo di LC. Lo studio era un trial clinico controllato randomizzato (RCT) in doppio cieco. I partecipanti sono stati suddivisi casualmente in tre gruppi: uno trattato con LC fresco, il secondo con LC bollito, il terzo con LV come placebo. Dopo le due settimane di consumo di LC, i livelli plasmatici di GSH sono risultati significativamente aumentati nel gruppo I e II ma non nel III. I livelli plasmatici di SOD, pur non mostrando differenze significative nel gruppo I e III, hanno raggiunto un aumento statisticamente molto significativo (p<0,007) nel gruppo II trattato con LC bollito. Inoltre, c’è stato un aumento importante (p<0,02) della MPO in entrambi i gruppi I e II ma non nel gruppo III. Infine è stato documentato un decremento significativo dell’indice Childhood Autism Rating Scale (CARS) nei gruppi I e II ma non nel III (114,115). Questi risultati suggeriscono che il LC potrebbe giocare un ruolo importante nel diminuire lo stress ossidativo attraverso variazioni degli enzimi antiossidanti e dei livelli di molecole antiossidanti non enzimatiche e, di conseguenza indurre un miglioramento dell’indice CARS e di altri indici che valutano la clinica dell’autismo (114,115).

Secondo le osservazioni di Shabo, il LC migliorerebbe il quadro clinico dell’autismo impedendo la formazione di caseomorfina, sostanza che gioca un ruolo a livello cerebrale nel determinismo della malattia (112). Le caseine del LC differenti da quelle del LV non permetterebbero la formazione delle caseomorfina. L’attività immunoregolatoria del LC a livello cerebrale contribuirebbe ulteriormente al miglioramento della clinica (116). Adams riporta il caso di un bambino autistico che all’età di 10 anni, già in trattamento con approcci terapeutici convenzionali, ha iniziato ad assumere circa mezza tazza/una tazza al giorno di LC, ottenendo un netto miglioramento della clinica mantenuto successivamente negli anni senza sospendere il LC (116).

Steatosi epatica non alcolica

Korish e Arafah hanno indagato gli effetti del LC sulle alterazioni biochimiche e cellulari epatiche indotte da una dieta ricca di grassi e colesterolo, in particolare nella steatosi epatica non alcolica (NAFLD). Settanta topi maschi sono stati divisi in quattro gruppi: quello di controllo (C) che assumeva una dieta standard, il gruppo controllo più LC (CCM) che assumeva una dieta standard più LC, gruppo colesterolo (Ch) nutrito con una dieta ricca di grassi e colesterolo senza latte, gruppo colesterolo più LC alimentato come il precedente con l’aggiunta del LC. Il gruppo Ch ha sviluppato caratteristiche simili a quelle della steatoepatite non alcolica (NASH), caratterizzata da steatosi epatica, infiltrazione cellulare infiammatoria nel tessuto epatico, alterazione funzionale epatica e aumento del colesterolo totale, trigliceridi, LDL, VLDL, indice aterogenico (AI), glicemia, resistenza all’insulina (IR) e livelli di melondialdeide (MDA). In più, dando da mangiare la dieta ricca in grassi e colesterolo agli animali nel gruppo Ch, sono diminuiti l’attività antiossidante della catalasi (CAT) e del glutatione (GSH) e i livelli di HDL-colesterolo. L’assunzione di LC per 8 settimane ha ridotto l’accumulo epatico di grassi e l’infiltrazione di cellule infiammatorie, ha preservato la funzione epatica, aumentato i livelli di GSH e l’attività della CAT, ridotto i livelli di MDA, e migliorato il profilo lipidico, l’AI, l’IR in animali del gruppo ChM. Perciò, il consumo regolare di LC potrebbe rappresentare una soluzione naturale contro la NAFLD indotta da una dieta ricca di grassi (117). Mancano al momento studi clinici.

Ipertensione arteriosa

L'ipertensione arteriosa è una condizione, costante e non occasionale, in cui la pressione arteriosa risulta più alta rispetto ai valori fisiologici normali per età e sesso. L'ipertensione è una tra le malattie più diffuse nei Paesi industrializzati; colpisce, infatti, oltre il 20-30% della popolazione adulta con minima differenza tra i sessi, e rappresenta uno dei maggiori problemi clinici dei tempi moderni. Questa condizione morbosa è anche definita come “killer silenzioso”, perché non comporta, quasi mai, alcun sintomo e agisce nell'ombra, degenerando in complicanze severe, talvolta dall'esito mortale. Negli ultimi anni è risultato evidente come anche i bambini e gli adolescenti possano esserne affetti, seppure in percentuali nettamente inferiori (circa 5-6%). La terapia dell'ipertensione ha l’obiettivo di riportare nella norma i livelli pressori alterati. Tra i farmaci capaci di ridurre la pressione arteriosa sono ritenuti di prima linea gli “angiotension l-converting enzyme” (ACE) inibitori. Si tratta di molecole antagoniste del recettore per l'angiotensina II che abbassano la pressione interferendo con la produzione di sostanze presenti nel cosiddetto sistema renina-angiotensina-aldosterone, che rappresenta uno dei principali fattori regolatori della pressione sanguigna.

Nella sua revisione, Aqib riferisce come il 15-20% dei peptidi bioattivi abbia potenzialmente un'azione ACE inibitoria (69). Alcuni studi di biologia molecolare hanno mostrato la presenza di peptidi bioattivi analoghi agli ACE inibitori presenti nel LC fermentato con probiotici, quali il Lactobacillus helveticus e il Lactobacillus rhamnosus. Il chiaro meccanismo di tali peptidi e il loro processo di attivazione e degradazione ancora non è ben chiaro, ma un loro eventuale ruolo di agonista-antagonista recettoriale potrebbe essere molto interessante (118,119). Tuttavia, allo stato mancano studi clinici sul possibile ruolo di questo latte nel trattamento dell’ipertensione arteriosa in associazione con i farmaci previsti dalle linee guida.

Intolleranza al lattosio

Il lattosio rappresenta circa il 98% degli zuccheri presenti nel latte vaccino, si tratta di un disaccaride costituito da una molecola di galattosio e una di glucosio. L’intolleranza al lattosio si verifica in caso di deficienza parziale o totale dell’enzima lattasi in grado di scindere a livello duodenale il lattosio. Negli Stati Uniti, circa il 22% degli adulti è affetto da carenza di lattasi. Nei soggetti Nord-Europei si osserva una prevalenza più bassa (circa il 5%) mentre nell'Europa Centrale la prevalenza è circa del 30%; nell’Europa del Sud si sfiora il 70%, Italia compresa. In carenza di lattasi, il lattosio non viene digerito e rimane nel lume intestinale (soprattutto nell’intestino crasso) dove è fermentato dalla flora batterica. La sintomatologia è caratterizzato da dolori addominali crampiformi, meteorismo, distensione addominale, digestione lenta, senso di gonfiore gastrico e diarrea. La terapia risolutiva è l’esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti il lattosio. Com’è ben noto, sono reperibili in commercio tipi di latte privi di lattosio o delattosati (sottoposto a idrolisi enzimatica del lattosio). La rimozione dalla dieta del latte e dei derivati contenenti lattosio determina la rapida risoluzione dei sintomi. Il LC contiene meno lattosio rispetto al latte vaccino. Uno studio del messicano Cardoso su 25 pazienti intolleranti al lattosio ha dimostrato come si possano avere eccellenti risultati con l’assunzione del LC (121). Questo effetto sarebbe da attribuire alla presenza nel latte di cammella di L-lattato a differenza del latte vaccino, dove è più rappresentato il D-lattato (33,34,119,120). Nelle popolazioni che abitualmente utilizzano questo latte, non sono stati riportati casi d’intolleranza al lattosio. Mancano tuttavia dati epidemiologici estesi di conferma. Il LC potrebbe comunque rappresentare un’alternativa ai ti di latte senza lattosio attualmente in commercio per i pazienti intolleranti al lattosio. L’utilità del LC nei pazienti intolleranti al lattosio è supportata da numerose revisioni della letteratura (31,41,119-121).

Dislipidemie

Le dislipidemie rappresentano un gruppo di condizioni patologiche caratterizzate da un'anomala quantità di lipidi nel sangue; in particolare, le anomalie più comuni riguardano i livelli di colesterolo plasmatico, trigliceridi e lipoproteine a bassa densità (LDL). Si tratta di condizioni tanto comuni quanto pericolose, in quanto rappresentano un importante e fondamentale fattore di rischio per lo sviluppo dell'aterosclerosi.

Alcuni studi effettuati negli animali hanno mostrato la capacità del LC di controllare il livello di colesterolo e di altri lipidi circolanti (56, 122). Un recente studio del gruppo saudita di Mohammadddin ha dimostrato come la somministrazione di LC in polvere per tre mesi a pazienti con dislipidemia sia in grado di migliorare il profilo lipidico in termini di riduzione significativa del colesterolo totale e del LDL-C. Effetto sovrapponibile a quelle ottenuto con l’atorvastatina nel gruppo di controllo (123). Altri studi condotti sui pazienti diabetici di cui si è detto in precedenza, hanno dato risultati contrastanti e comunque non particolarmente significativi. L’effetto sarebbe in parte ascrivibile alla presenza di acido orotico nel latte di cammella. Il ruolo dell’acido orotico sui livelli di colesterolo è, infatti, stato documentato sia negli animali sia nell’uomo. Uno studio di Agrawal ha dimostrato come la somministrazione di LC per 4-6 mesi a soggetti diabetici tipo 1 fosse in grado di ridurre i livelli di colesterolo totale (dal 25% al 45% in meno), di trigliceridi (–37%) e del LDL-C (–30%) (60). Risultati interessanti sono stati ottenuti anche da gruppo iraniano di El-Sayed. Questi ricercatori hanno dimostrato come nei pazienti diabetici trattati anche con LC, non solo fossero diminuiti significativamente i livelli di TG, di circa tre volte, quelli di TC e LDL-C, di circa due volte, ma come fosse aumentato anche il livello di HDL-C (da 41 mg/dl a 49 mg/dl) (64). Ejtahed studiando 20 pazienti con DM2 randomizzati a ricevere per 2 mesi LC o LV (500 ml/die) ha ottenuto risultati non significativi dal punto di vista statistico, ma comunque migliori nei pazienti che avevano ricevuto il LC rispetto a quelli che avevano ricevuto il LV (72).

Attività antitumorale

Una recente revisione dell’indiano Dubey sottolinea l’attività anticancerosa in vitro di numerosi componenti del LC (…). Alcuni studi hanno messo in evidenza come componenti del LC riescano in vitro a inibire la crescita delle cellule del cancro del colon e dell’epatocarcinoma. Un ruolo importante l’avrebbe la lattoferrina presente in alte concentrazioni nel LC, per la sua capacità di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali quali quelle del cancro del colon. È stata anche ipotizzata una capacità di qualche composto, non meglio identificato, del LC di inibire la neoangiogenesi che rappresenta una dei meccanismi di proliferazione cellulare neoplastica. In vitro è stato dimostrato un incremento dell’apoptosi rispetto a cellule di epatoblastoma e del cancro del seno (124-130).

Mancano al momento studi clinici sulle patologie oncologiche. È tuttavia interessante l’osservazione personale di Dubay circa la bassissima frequenza di neoplasie nella popolazione Raica (studiata da Agrawal per il diabete) che consuma abitualmente LC (26).

Altre patologie

La letteratura suggerisce anche potenzialità terapeutiche su arteriosclerosi, osteoporosi, varicella, tubercolosi, epatopatie ed epatite virale (Epatite B e C), morbo di Crohn, leishmaniosi, psoriasi, stitichezza e carie dentale. Avrebbe un’azione anti-aggregante piastrinica e antitrombotica (diminuzione del fibrinogeno). Dimostrata un’azione anti-elmintica. La letteratura recentemente si è arricchita di dati circa l’influenza del LC nel modificare con effetti positivi il microbioma intestinale con un aumento, ad esempio, di Allobaculum, Akkermansia, Romboutsia, Bifidobacterium e Lactobacillus. Il LC si è dimostrato in grado di ridurre Romboutsia, Lactobacillus, Turicibacter, Desulfovibrio e Desulfovibrio, con verosimile effetto positivo sullo stato di salute.

Indicazioni all’uso del LC vengono dalle medicine tradizionali. Una revisione dell’iraniano Hosseine rivisita l’impiego del LC nella tradizione iraniana nelle malattie di fegato, utero, milza, rene e vescica, polmoni, cute, cuore, cervello, occhi, denti, o come attivo per le funzioni sessuali, come diuretico, come lassativo, come stimolante l’appetito, per dismenorrea (18,26,34,35,131-133).

REPERIBILITÀ DEL LATTE DI CAMMELLA

Il latte di cammella crudo a 30 °C resiste per almeno 8 ore prima di coagulare, mentre il latte vaccino resiste solo 3 ore. Questa peculiare caratteristica è molto importante per i pastori nomadi che lo consumano crudo in aree geografiche caratterizzate da temperature elevate (soprattutto diurne).

La commercializzazione del latte, di qualunque specie, presuppone l’utilizzo di metodiche che ne abbassino la carica batterica (pastorizzazione) o lo sterilizzino (Ultra High Temperature o UHT). Queste metodologie alterano, in modo variabile in ragione di quelle utilizzate, la composizione del latte, soprattutto in termini di stabilità delle proteine e presenza di vitamine (106,130). Se paragonato al latte vaccino, quello di cammella ha minore stabilità ad elevate temperature, per l’assenza della β-lattoglobulina e la scarsità di κ-caseina, ma il dato non è confermato da altri studi. Il suo siero è invece più stabile rispetto a quello vaccino. La denaturazione delle proteine del siero a 80 °C per 30 minuti è inferiore (32-35%) rispetto a quanto avviene per le proteine del siero del latte vaccino (70-75%). Queste caratteristiche giocano un ruolo importante nei metodi di pastorizzazione. Il latte di cammella pastorizzato può essere mantenuto a 4 °C per dieci giorni. La commercializzazione lontano dai territori di produzione è quindi tuttora problematica, in quanto non è facilmente attuabile e commercialmente vantaggiosa una catena del freddo su lunghe distanze. Per quanto riguarda i metodi di preparazione a lunga conservazione con alte temperature, è stato dimostrata, recentemente, la resistenza delle proteine del latte di cammella al trattamento con UHT (135-150 gradi per 2-3 secondi). Nel 2016 sono state, infatti, messe a punto metodiche adatte per questo latte che ne hanno permesso la commercializzazione in forma liquida pronta all’uso distribuibile anche lontano dalla produzione. Le formulazioni in polvere o congelate sono da più tempo disponibili. Queste formulazioni manterrebbero inalterate le caratteristiche chimiche e quindi nutritive (19,134,135).

Accertato che i vari metodi di preparazione non alterano sostanzialmente il potere nutritivo in termini di proteine, lipidi e zuccheri del latte di cammella, analogamente a quello che avviene per il latte vaccino. Rimane ancora da verificare il possibile danno dei vari metodi di preparazione sulla funzionalità delle varie proteine. Mancano studi sufficientemente ampi, ma recenti ricerche evidenziano come la riduzione della quota proteica sia variabile secondo il sottotipo di proteine valutate. Sarebbero più sensibili le proteine enzimatiche (62%), molto meno quelle ad azione immunologica (5%) e le proteine di trasporto (2%). Particolarmente interessante il fatto che l’insulina del latte di cammella risulti resistente al calore, a differenza dell’insulina del latte vaccino e di altre specie animali, con una perdita solo del 5-8% (134).

Per quanto riguarda l’Europa, la Commissione Europea competente in materia si è espressa attraverso le indicazioni contenute nel Regolamento di Esecuzione n. 300/2013 che da fine Aprile 2013 consentono l’importazione di latte di cammella (Camelus dromedarius) dall’emirato di Dubai degli Emirati Arabi Uniti (136).

Numerosi sono i patogeni che colpiscono i cammelli nomadi per tale motivo al momento, è vietata l’importazione di questi animali (136,137). In alcuni paesi quali l’Olanda, Belgio e Inghilterra ci sono degli allevamenti autoctoni in grado di produrre piccole quantità di latte acquistabile fresco in loco, pastorizzato. Questi allevatori producono anche latte in polvere o congelato che può essere spedito in tutta la comunità europea. Allevamenti importanti sono presenti negli Stati Uniti e in Australia. Sono disponibili anche creme di latte o formulazioni concentrate in capsule. Tali prodotti soddisfano i criteri di qualità e sicurezza batteriologica. Il loro acquisto è possibile sia direttamente dagli allevatori sia attraverso internet. Il suo costo rimane al momento piuttosto elevato rispetto al latte vaccino, ma in linea con quello di altri animali quali il latte di asina o di alcuni latti speciali utilizzati, ad esempio, nei bambini allergici alle proteine del latte vaccino. È reperibile anche colostro in polvere. È interessante segnalare un progetto finanziato dall’Unione Europea per la produzione di LC formulato per lattanti (137). È disponibile in commercio, anche in Europa, cioccolato al latte di cammella. Ricordiamo a scopo puramente informativo che con il latte di cammella si producono creme di bellezza.

Con l’obiettivo di promuovere la produzione (del 20-30%), la trasformazione e il consumo di latte di cammello nel bacino del Mediterraneo prende il via il progetto Camelmilk –progetto italiano vincitore dei bandi PRIMA 2018 per la sezione “cibo e filiera alimentare” – della durata di 36 mesi (dall’1 aprile 2019) e finanziato con 2 milioni di euro. Il progetto è coordinato dalla Spagna con l’Istituto di Ricerca e Tecnologia Agroalimentari – IRTA e vede anche la partecipazione di un’unità di ricerca italiana Food and Agriculture Requirements – FARE, accanto ad altri sette paesi partecipanti Spagna, Algeria, Germania, Croazia, Francia, Marocco, Turchia, con un totale quattordici unità di ricerca (140).

Nonostante i dati della letteratura siano ormai suggestivi per l’impiego del LC come nutraceutico per varie patologie, soprattutto il diabete e l’ APLV, e il suo reperimento non rappresenti più un problema ostativo, tuttavia l’Accademia è ancora molto restia a valutarne l’efficacia con studi clinici controllati, considerandolo ancora un cibo esotico piuttosto che un possibile aiuto terapeutico e nutritivo.

CONCLUSIONI

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è documentato come il LC abbia possibili potenzialità terapeutiche nel trattamento di alcune patologie quali il diabete, le allergie alle proteine al latte vaccino e l’intolleranza al lattosio. Le ricerche sono state in generale metodologicamente ben condotte, ma l’esiguo numero di pazienti valutati rappresenta un limite alla portata scientifica dei risultati ottenuti. La cautela nell’eventuale impiego ai fini terapeutici è quindi ancora d’obbligo, e in qualunque caso sempre in associazione con le terapie consolidate e sotto stretto controllo medico.

È a nostro avviso auspicabile che possano essere attivati studi clinici anche in Europa e negli Stati Uniti che coinvolgano un maggior numero di pazienti. Se, infatti, altri dati confermeranno l’efficacia del LC nel controllo di queste patologie, il LC potrebbe rappresentare una risorsa naturale importante a disposizione dei pazienti.

Per le altre condizioni patologiche riportate in letteratura, non ci sono al momento indicazioni sufficientemente supportate dai dati clinici che ne comprovino l’efficacia. Si tratta infatti di studi sperimentali in vitro o su animali, di segnalazioni cliniche anedottiche o legate alla medicina tradizionale locale.

È altrettanto auspicabile un maggior interessamento da parte dell’industria casearia, anche europea, per ottimizzare le metodiche di lavorazione e conservazione al fine di mantenere il più possibile quelle caratteristiche fisico-chimiche del LC fresco che ne garantiscono appieno le proprietà nutrizionali e nutraceutiche, e non ultimo per ridurre i costi al consumo.

Roberto Miniero (1),  Ali Mohamed Mahadi (2), Giuseppe Antonio Mazza (3), Laura Giancotti (1), Valentina Talarico (1)

(1) Dipartimento Materno-Infantile Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”. Catanzaro-Italia; (2) Dipartimento di Pediatria. Università di Hargeisa-Somaliland; (3) SC Cardiologia Pediatrica Ospedale Infantile Regina Margherita. Città della Salute e della Scienza. Torino.

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