L'ambiente vaginale è caratterizzato da un microbiota specifico, composto soprattutto da lattobacilli che, producendo acido lattico, contribuiscono a mantenere lievemente acido il pH locale: è proprio questo pH a proteggere la vagina da colonizzazione e proliferazione di patogeni. Un microbiota sano dovrebbe presentare almeno un 45% di Lactobacilli: al diminuire di questa specie, si assiste a un aumento del pH e di specie batteriche patogene, in particolare Gardnerella vaginalis, responsabile del 40-50% di tutte le vaginosi batteriche. Altri responsabili sono il protozoo flagellato Trichomonas vaginalis e il fungo Candida albicans, che causano rispettivamente il 15-20% e il 20-25% dei casi.

Come anche il microbiota intestinale, quello vaginale è delicato e può alterarsi a causa di diversi fattori, come l'uso di antibiotici, lo stress e lo stato ormonale della donna. Altre cause possono essere detergenti e sapone intimi troppo aggressivi, che alterano il pH, lavande genitali troppo frequenti e l'uso di dispositivi anticoncezionali intrauterini, come la spirale. La sintomatologia è caratterizzata da prurito lieve, bruciore durante la minzione, dolore nel rapporto sessuale, perdite acquose o bianco-grigiastre, sempre maleodoranti. La terapia di elezione per questo genere di infezioni si basa sul metronidazolo, antibiotico specifico che però rischia di alterare ulteriormente il microbiota, favorendo recidive. Si consiglia quindi, concluso il trattamento farmacologico, di ristabilire l'equilibrio microbico vaginale con probiotici ad hoc. Data la diffusione di questa infezione, che in Italia interessa almeno una volta nella vita il 29% delle donne, sarebbe utile individuare terapie più rispettose.

Un recente studio randomizzato indiano, condotto dal National Institute of Unani Medicine, mette a confronto l'efficacia di una specie di pistacchio locale con quella del metronidazolo nel trattare le vaginosi batteriche. Della pianta, chiamata in inglese zebrawood e in latino Pistacia integerrima, vengono in particolare utilizzate le galle, già note come utili nel trattamento di diarrea e sintomi respiratori. 62 le donne incluse nello studio: 31 hanno assunto per via orale 1 g di polvere di P. integerrima due volte al giorni e 31 l'antibiotico, nel dettaglio in dose di 400 mg due volte al giorno. In entrambi i casi la terapia è durata 7 giorni. Gli autori hanno quindi verificato tra il 14esimo e il 18esimo giorno l'efficacia dei due trattamenti, calcolata secondo i criteri di Amsel, gli esiti sul microbiota e il valore della scala dei sintomi vaginali. Questi ultimi sono stati poi valutati anche tra il 21esimo e il 24esimo giorno e tra il 30esimo e il 34esimo. I risultati sono interessanti. I tassi di cura terapeutico, microbiologico e clinico sono risultati essere molto simili tra le due modalità di intervento, rispettivamente del 54.83 %, 51.61 % e 51.61 % per P. integerrima e del 51.61 %, 45.16 % e 45.16 % per l'antibiotico. La scala dei sintomi vaginali, invece, sembra migliorare di più nelle pazienti che hanno utilizzato la polvere di zebrawood, anche se di poco: la media al 14-18esimo giorno è rispettivamente di 3.67 ± 2.90 e 4.22 ± 2.61.

Gli autori concludono, quindi, che P. integerrima mostra una capacità di cura delle vaginosi batteriche simile a quella del metronidazolo, senza dare effetti avversi. Questa polvere potrebbe quindi essere un sostituto dell'antibiotico? Senza dubbio occorrono ulteriori studi, magari su campioni più ampi. Certo, sarebbe interessante, soprattutto nella misura in cui la P. integerrima non dovrebbe contribuire ad aumentare il fenomeno dell'antibiotico resistenza.

Studio: Kahkashan Baig, Arshiya Sultana, Khaleequr Rahman. A randomized comparative study of Kakrasingi (Pistacia integerrima J. L. Stewart ex Brandis) and metronidazole in bacterial vaginosis. Journal of Herbal Medicine, Volume 36, 2022. https://doi.org/10.1016/j.hermed.2022.100609