La carenza di zinco – che colpisce circa un terzo della popolazione mondiale – è strettamente correlata con l'insorgenza di infezioni batteriche, secondo un meccanismo ancora non del tutto chiaro.

Studi clinici hanno dimostrato che la supplementazione di zinco può incidere significativamente sulla riduzione di patologie batteriche associate a carenza di zinco (ad esempio polmonite e diarrea).

Un team interdisciplinare guidato dal Professor Christopher McDevitt dell'Università di Melbourne ha evidenziato come il sistema immunitario sia in grado di utilizzare lo zinco come antimicrobico naturale per contrastare lo Streptococcus pneumoniae, principale responsabile della polmonite batterica. Lo studio, pubblicato recentemente su PLOS Pathogens, ha confrontato i livelli di infezione in modelli murini alimentati con diete contenenti diversi livelli di zinco.

Dalla ricerca emerge un dato interessante: in caso di infezione batterica, il sistema immunitario mobilita lo zinco sul luogo dell'infezione, dove questo aiuta le cellule immunitarie deputate a "uccidere" il patogeno.

I risultati mostrano che i topi con un regime alimentare povero di zinco soccombevano 3 volte più velocemente all'infezione rispetto agli altri, perché il loro organismo aveva un'insufficiente quantità di zinco per coadiuvare l'eliminazione dei batteri.

Il dottor Bart Eijkelkamp, ricercatore dell'Università di Adelaide, ha così commentato i risultati: "lo zinco alimentare è associato a una funzione immunitaria e fornisce protezione nei confronti delle infezioni batteriche; tuttavia, il meccanismo mediante il quale fornisca protezione rimane ancora da chiarire".

La polmonite conta oltre un milione di vittime l'anno, registrate soprattutto nelle zone in cui il regime alimentare è povero di zinco: "I nostri risultati – commenta il professor McDevitt – dimostrano quanto l'assunzione di corretti livelli di zinco costituisca una strategia preventiva per contenere la diffusione della polmonite, in associazione ai vaccini e ad altre strategie antimicrobiche".

La ricerca è stata condotta in collaborazione con l'Università del Queensland e l'Università di Adelaide.

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