Un infarto acuto del miocardio può presentare o meno un sopraslivellamento del tratto ST: nel primo caso si parla di infarto STEMI e, nel secondo, di infarto NSTEMI. Ovviamente, le due manifestazioni presentano delle differenze.

Generalmente un infarto STEMI viene considerato più grave di uno NSTEMI, convinzione avvalorata dalla maggiore mortalità a 30 giorni di questa sindrome rispetto alla seconda. C'è però chi sottolinea che i pazienti con sindrome coronarica NSTEMI abbiano follow-up peggiori nel lungo tempo, il che richiede di considerare anche questa sindrome come altrettanto grave della STEMI. D'altronde, alla base c'è sempre una condizione aterosclerotica che porta alla formazione di trombi e all'occlusione delle arterie coronariche.

Nei pazienti NSTEMI, inoltre, si manifesta una necrosi miocardica subendocardica che determina la presenza nel plasma di indici di necrosi abbastanza elevati. Un altro parametro da tenere in considerazione sono le citochine pro-infiammatorie, la cui crescita non è mai indicatore di buona prognosi per il paziente.

Generalmente i pazienti che incorrono in sindrome coronarica acuta presentano bassi livelli di vitamina D, tanto che più di uno studio in letteratura indica bassi livelli di questa vitamina liposolubile come un fattore di rischio scatenante la sindrome coronarica. Ci si chiede allora se l'integrazione alimentare di vitamina D possa influenzare in qualche modo il quadro clinico di pazienti NSTEMI con necrosi subendoteliale.

Per rispondere a questa domanda un team di ricerca pakistano ha condotto uno studio, pubblicato su Journal of Nutritional Science and Vitaminology. Gli autori hanno coinvolto 40 pazienti, dividendoli in due gruppi da 20 persone l'uno: tutti i partecipanti sono stati esaminati per determinarne i livelli base di proteina C reattiva, interleuchina 6 e il fattore di necrosi tumorale α. Il gruppo sperimentale ha poi assunto una sola dose di vitamina D pari a 200.000 Unità Internazionali (UI).

Quattro mesi dopo, i pazienti sono stati riesaminati per valutare cambiamenti nei livelli delle sostanze infiammatorie già nominate. È stato così osservato che il gruppo sperimentale presentava valori di proteina C reattiva decisamente inferiori rispetto al gruppo di controllo. Anche interleuchina 6 e fattore di necrosi tumorale α erano diminuiti, ma non in modo significativo.

Sembra quindi che basti somministrare una singola dose elevata di vitamina D per ottenere una riduzione dei livelli plasmatici di proteina C reattiva: questa integrazione potrebbe quindi essere aggiunta alle normali terapie. Un calo della proteina C reattiva potrebbe avere un vantaggio clinico per questi pazienti, dato che le più recenti evidenze indicano alti livelli plasmatici di questa proteina come fattore di rischio per lo sviluppo di infarto.

Ovviamente, questo è solo uno dei fattori di rischio non modificabili: lo affiancano anche la iperomocistenemia, deficit di estrogeni, iperfibrinogenemia, iperviscosità ematica, leucocitosi e altro ancora. I risultati di questo studio sono in linea con altri di precedenti lavori presenti in letteratura..

Fonte:

  • Jabeen S, Khan HF, Ali S, Siddique AH, Majeed S, Safder S, Shamshad F. "Role of Vitamin D Supplementation in Improving Cytokine Profile in Patients of Non-ST-Elevation Acute Coronary Syndrome". J Nutr Sci Vitaminol (Tokyo). 2022;68(1):1-7. doi: 10.3177/jnsv.68.1. PMID: 35228490.

1 commento

  1. Molto chiaro:sempre più importante ruolo vit D,quasi sempre trascurato in passato,soprattutto divisione D2 e D3.Vit D da considersrsi un ormone a tutti gli effetti…Ns pelle si nutre anche di luce,max alba e tramonto…

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