Un recente studio portoghese, pubblicato su “Nutrients”, suggerisce che l'assunzione di caffè possa proteggere i soggetti obesi dallo sviluppo di steatosi epatica non alcolica (NAFLD), o comunque rallentarne la progressione. Se questo risultato fosse confermato, si potrebbero sviluppare nuovi alleati nella lotta a una patologia che colpisce sempre più persone nel mondo, a causa tanto di stili di vita sempre più sedentari, quanto del diffondersi di una alimentazione industriale, ricca in grassi e zuccheri raffinati. Gli ultimi dati di incidenza e prevalenza vengono da uno studio canadese, pubblicato nel luglio 2022 su “Gastroenterology & Hepatology”: si stima che la prevalenza globale di NAFLD sia oggi del 32,4%, contro il 25,5% del 2005, mentre l'incidenza media è calcolata in 46,9 casi ogni 1000 abitanti. Sempre secondo questo studio, la patologia colpirebbe più gli uomini delle donne, con una prevalenza rispettivamente del 39,7% contro il 25,5%. Individuare sostanze capaci di proteggere il fegato dall'accumulo di grassi è dunque importante.

Per tornare al lavoro portoghese, gli autori hanno lavorato per oggettivare al massimo l'assunzione di caffè da parte dei partecipanti: non si sono quindi accontentati di informazioni autoriportate dai soggetti coinvolti, ma hanno anche effettuato l'analisi delle urine raccolte nelle 24 ore per individuare i metaboliti di questa bevanda, in particolare paraxantine, teofilline, trigonelline, acido p-cumarico e acido caffeico. Non solo. I risultati degli esami delle urine sono stati normalizzati in base al peso del soggetto. Inoltre, l'eventuale associazione trovata tra concentrazione dei metaboliti del caffè e alcuni parametri della NAFLD è stata standardizzata in base al sesso del soggetto e alla sua assunzione di alcolici. La correlazione è stata cercata con la fibrosi epatica, la steatosi e l'indice di fegato grasso. Il primo esito dimostra che le analisi delle urine forniscono dati più precisi rispetto a quanto auto riportato dai soggetti coinvolti nello studio. Inoltre, gli autori hanno evidenziato la presenza di un'associazione negativa tra i metaboliti totali non derivati dalla caffeina e l'indice di fegato grasso, anche per i soggetti obesi. Non solo. Nei soggetti già colpiti da cirrosi epatica, l'assunzione di caffè riduce la prevalenza di elevati livelli di aspartato e alanina aminotransferasi. Il ruolo dei metaboliti non derivati dalla caffeina nella protezione dalla NAFLD suggeriscono, inoltre, che sia sufficiente assumere caffè decaffeinato. Gli autori sottolineano inoltre un altro esito dello studio: la tipologia di metaboliti della caffeina presenti nelle urine può fungere da marker per la progressione della patologia. Il principale limite di questo studio è l'aver scelto di valutare i metaboliti nelle urine in 24 ore, il che rende conto dell'assunzione di caffè in un solo giorno... e non è detto che questa rappresenti le reali abitudini del soggetto.


Studio
: Coelho, M.; Patarrão, R.S.; Sousa-Lima, I.; Ribeiro, R.T.; Meneses, M.J.; Andrade, R.; Mendes, V.M.; Manadas, B.; Raposo, J.F.; Macedo, M.P.; Jones, J.G. Increased Intake of Both Caffeine and Non-Caffeine Coffee Components Is Associated with Reduced NAFLD Severity in Subjects with Type 2 Diabetes. Nutrients 2023, 15, 4. https://doi.org/10.3390/nu15010004