Cereali integrali, fagioli, lenticchie, noci e alcuni tipi di frutta e verdura: sono un pool di alimenti che possono rappresentare una strategia nutrizionale contro l’AMR

Uno studio condotto dal Western Human Nutrition Research Center di Davis, in California (US) pubblicato su mBio, rivista dell’American Society of Microbiology, sembra dimostrare che una dieta ricca di fibre, con almeno 8-10 grammi di fibra solubile al giorno, possa ridurre il rischio di ospitare nell’intestino batteri che sviluppano i geni della resistenza, compromettendo l’efficacia di farmaci contro le infezioni, come le tetracicline e gli amminoglicosidi.

Premessa

L’AMR nel mondo è causa di elevata morbilità e mortalità, con previsioni di costante peggioramento nei prossimi decenni. Poiché la resistenza agli antibiotici è codificata nel microbioma, gli interventi volti ad alterare la composizione tassonomica dell'intestino potrebbero consentire di progettare in un’ottica profilattica microbiomi che ospitano meno geni resistenti agli antibiotici (ARG). La dieta è un metodo di intervento, eppure l'associazione tra alimentazione e resistenza agli antimicrobici ad oggi è poco nota. Con un obiettivo di conoscenza è stato avviato uno studio dedicato da ricercatori americani.

Lo studio

Sono stati randomizzati 290 adulti con l’obiettivo di valutare se la dieta, nello specifico una alimentazione diversificata e bilanciata, con un apporto adeguato di fibre, focus principale dello studio, possa influenzare il microbioma intestinale e contribuire al contrasto del crescente fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Dopo la somministrazione di questionari appositamente strutturati e specifiche valutazioni sul microbioma, è stato possibile osservare il consumo regolare di molte fibre, specie fibre solubili presenti in cereali come l'orzo e l’avena, legumi come fagioli, lenticchie e piselli, semi tra cui i semi di chia, noci e in alcuni tipi di frutta e verdura come carote, frutti di bosco, carciofi, broccoli e zucca, e il basso apporto di proteine derivate soprattutto dalla carne di manzo e di maiale, si assocerebbe a livelli più bassi di geni di resistenza agli antimicrobici tra i microbi intestinali. Questi, a loro volta, correlavano a maggiori quantità di microbi anaerobici stretti (o obbligati), specialmente dalla famiglia delle Clostridiaceae, un tipo di batteri che non tollera l’ossigeno e non prospera in presenza di ossigeno, dunque indicativi di un intestino sano con bassa infiammazione. È emerso, inoltre, che la presenza di un elevato livello di geni contro la resistenza favorisce la biodiversità del microbioma, un altro segnale di salute e di contrasto alla resistenza stessa.

In conclusione

I risultati dello studio, seppure preliminari e meritevoli di ulteriori approfondimenti, sembrano suggerire che interventi dietetici – una azione a basso costo e a elevato impatto - possono rappresentare una efficace strategia nutrizionale, utile a ridurre il carico della resistenza antimicrobica, aprendo a nuove linee guida sull’alimentazione ed il rischio di infezioni resistenti agli antibiotici. Ovvero considerando la dieta come arma potenziale per lotta al fenomeno sempre crescente dell’AMR.
Francesca Morelli

 

Fonte