Nel 1800 il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach dichiarava “siamo quello che mangiamo”, intendendo sottolineare che un popolo può migliorare la propria natura modificando la propria alimentazione. Da allora questa frase è stata più volte ripresa e utilizzata in vari ambiti, anche in quello della salute. Sono infatti sempre di più le evidenze scientifiche che sottolineano quanto un'alimentazione sana ed equilibrata incida sulla salute di un individuo e, quindi, per estensione, di una popolazione.

Da quando, poi, ci si è accorti del ruolo fondamentale che il microbioma intestinale gioca nell'attivazione del sistema immunitario e, più in generale, nell'equilibrio fisiologico del corpo, la relazione tra cibo e salute è divenuta ancora più stretta. Di recente uno studio portoghese, portato avanti presso l'Instituto Gulbenkian de Ciência di Oeiras, piccolo comune nel distretto di Lisbona, ha indagato il legame esistente tra varie tipologie di dieta e l'evoluzione della popolazione intestinale di Bacteroides thetaiotaomicron, specie deputata alla digestione delle fibre e dei polisaccaridi che può diventare un patogeno opportunista qualora la sua popolazione crescesse in modo eccessivo. Si tratta di uno dei batteri Gram negativi più rappresentati nel microbioma delle popolazioni umane urbane, arrivando a rappresentare, in alcuni casi, il 50-80% della popolazione intestinale. Come gran parte dei microrganismi simbionti del tratto digestivo, anche questa specie fluttua in numero in base all'alimentazione dell'ospite.

Lo studio dimostra che una dieta squilibrata, ricca quindi in grassi e zuccheri, può favorire una mutazione genetica nella popolazione di Bacteroides thetaiotaomicron rendendolo capace di sopravvivere anche in scarsa presenza di fibre vegetali, probabilmente utilizzando per il proprio metabolismo i glicani presenti sulla mucosa intestinale. Altro fattore interessante, la diversità di dieta non sembra far crescere la popolazione di questo battere opportunista, anche se nei topi alimentati con un stile alimentare squilibrato si è sviluppata infiammazione intestinale. Le mutazioni provocate dall'adattamento alle nuove condizioni di vita, inoltre, sono stabili, ovvero permangono nel tempo, anche cambiando alimentazione. Ciò permetterebbe di utilizzare il Bacteroides thetaiotaomicron come marker per capire come un soggetto abbia mangiato nel corso della sua vita.

Gli autori si sono anche accorti che, mentre una dieta stabile, che sia sana o squilibrata, genera una popolazione geneticamente stabile, una dieta altalenante invece non consente al ceppo di stabilizzare le proprie mutazioni adattative. Nello studio gli autori hanno sottoposto i topi a un cambio di dieta settimanale, passando da una ricca in fibre vegetali a una ricca in grassi e zuccheri. Questo risultato suggerisce che un regime alimentare vario sia utile per evitare che si instaurino nel microbioma delle mutazioni che possono danneggiare l'ospite. Un altro vantaggio potrebbe essere favorire un'alta variabilità genetica a livello della popolazione intestinale, fatto ritenuto positivo perché sinonimo di salute ed efficienza del microbioma stesso. Quanto osservato per Bacteroides thetaiotaomicron potrebbe valere, in linea di principio, anche per altri ceppi batterici. Ecco allora che gli autori avanzano l'ipotesi che si possano utilizzare specifici integratori alimentari per modulare la diversità genetica del microbioma. Un'ipotesi ancora tutta da dimostrare.

Fonte:

  • Dapa T, Ramiro RS, Pedro MF, Gordo I, Xavier KB. "Diet leaves a genetic signature in a keystone member of the gut microbiota". Cell Host Microbe. 2022 Feb 9;30(2):183-199.e10. doi: 10.1016/j.chom.2022.01.002. Epub 2022 Jan 31. PMID: 35085504.