Lo studio – finanziato dal National Institutes of Health – ha preso in esame un campione di donne dell'età media di circa 70 anni non affette da demenza all'avvio della sperimentazione.

Ciascun soggetto ha compilato un questionario alimentare, grazie al quale i ricercatori hanno potuto fare una stima del consumo settimanale di pesce – bollito o al forno – e/o molluschi. Sono stati esclusi dalla valutazione tutti i consumi di pesce fritto, poiché è dimostrato che la frittura danneggia gli acidi grassi omega-3. Ciascuna candidata è stata sottoposta a un prelievo del sangue e in ogni campione sono stati quantificati gli omega-3 presenti negli eritrociti; in base a tale quantità, i soggetti sono stati poi suddivisi in 4 gruppi.

Utilizzando l'indirizzo di residenza delle donne, i ricercatori hanno potuto determinare la loro esposizione all'inquinamento, quindi le candidate sono state sottoposte a una RM al fine di valutare le varie aree del cervello.

Ne è emerso che nei soggetti con una maggiore quantità di omega-3, il volume di sostanza bianca e ippocampo erano maggiori rispetto a quelli delle donne con una quantità inferiore di acidi grassi.

Lo studio pertanto suggerisce che livelli ematici più alti di omega 3 da consumo di pesce siano riconducibili a una miglior conservazione del volume di alcune parti del cervello, con un effetto potenzialmente protettivo nei confronti dell'inquinamento atmosferico.

I ricercatori sottolineano che lo studio ha solamente individuato una correlazione tra consumo di pesce e volume cerebrale, non ha dimostrato che consumare pesce preservi il volume del cervello. Inoltre, la sperimentazione ha coinvolto solo donne anziane, e l'esposizione all'inquinamento durante questa fase limitata della vita. Studi futuri, quindi, dovranno considerare un campione più ampio ed eterogeneo, e un'esposizione durante l'intero corso della vita, non limitata a uno specifico periodo.

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