Nel mondo da uno a nove bambini ogni 100mila nati vivi presenta un'ostruzione delle vie biliari, patologia rara che determina gravi danni al fegato. Questa condizione, che si manifesta al più tardi entro i due mesi dalla nascita, può essere in alcuni rari casi già presente nel feto. Cosa determina questa atrasia? Fondamentalmente un processo infiammatorio progressivo e irreversibile a carico della cistifellea e dei suoi dotti che, in breve tempo, porta alla degenerazione e distruzione del tessuto, determinando accumulo di bile prima nel fegato e poi negli altri organi. Indici di questo processo sono la comparsa di ittero, feci che diventano bianche e urina di colore arancione: questi sintomi richiedono un immediato approfondimento da parte del clinico per arrivare a una diagnosi precoce. Se questa non viene effettuata, il tessuto epatico diventa cicatriziale, portando a cirrosi, e la pressione portale aumenta al punto da determinare sanguinamenti.

Il trattamento elettivo per l'atrasia neonatale delle vie biliari è di tipo chirurgico e si chiama portoenteroanastomosi o intervento di Kasai: il chirurgo crea un collegamento tra fegato e intestino per favorire il defluire della bile e, nel contempo, preleva un pezzo di tessuto epatico per l'analisi istologica. Se il processo è in stadio avanzato è necessario procedere, quando possibile, a un trapianto di fegato.

Al momento non è possibile agire di prevenzione perché non è ancora chiaro quali siano i fattori scatenanti il processo infiammatorio iniziale: gli specialisti per ora concordano sul fatto che l'eziologia sia multifattoriale. Qualcuno suggerisce che uno dei fattori di rischio sia la composizione del microbioma intestinale alla nascita, legata ovviamente al microbioma materno. L'ipotesi viene presa in considerazione anche da un team del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center (USA) che di recente ha valutato il ruolo di alcuni integratori nel ridurre il rischio di sviluppo di atrasia neonatale dei dotti biliari. Più nel dettaglio lo studio, pubblicato su Nature Communications, indaga gli effetti dell'assunzione in gravidanza di butirrato e glutammina in modello murino. Gli autori hanno utilizzato femmine di topo gravide, dividendole in più gruppi.

Gli autori hanno iniziato con il valutare gli effetti dell'assunzione di butirrato: hanno quindi preso due gruppi di soggetti gravidi, dando a uno acqua da bere contente l'integratore in concentrazione di di 200 mmol/L e all'altro solo acqua. Una volta nati i topini, si è proceduto infettandoli con Rhesus rotavirus (RRV): si è quindi visto che i figli delle madri che avevano assunto butirrato erano meno a rischio di sviluppare atrasia grave dei dotti biliari e, anche qualora si ammalavano, i sintomi erano meno gravi. Per fare un confronto, in questo grippo si è ammalato il 40% della figliolanza, contro l'80% del gruppo senza butirrato. Questa sostanza è nota per avere effetti modulanti sul sistema immunitario: si pensa quindi che protegga dal rischio infiammatorio contrastandone l'insorgenza legata a infezione batterica.

Questa spiegazione, da sola, non basta. Gli autori hanno quindi cercato un'altra relazione, trovandola nella composizione del microbiota intestinale, appunto. Che dire invece della glutammina? Questa sembra proteggere l'epitelio dei dotti biliari rendendole resistenti all'azione delle cellule NK (Natural Killer) che si attivano nel processo infiammatorio. Ovviamente il tutto deve essere ancora approfondito e confermato, ma questo studio apre la strada a una possibile via in intervento su questa rara patologia.

Fonte:

  • Jee, J.J., Yang, L., Shivakumar, P. et al. "Maternal regulation of biliary disease in neonates via gut microbial metabolites". Nat Commun 13, 18 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-021-27689-4